
Candele a Roubaix
30/09/2021• Ve le ricordate le candele Champion quelle dei motorini? Non ci fosse stata la bici non sarebbero esistite. Era il 1899, quarta edizione della Parigi-Roubaix
Una volta aveva sentito dire da un vecchio della via che solo coi soldi “possiamo andarcene da questo posto di merda”. Parlava del suo quartiere di Parigi dove c’erano più topi che cristiani. Non è che stesse male lì, aveva gli amici e un bel po’ di cose da fare, ma c’era sicuramente di meglio. Anche perché le belle ragazzine che vedeva passare vestite di pizzo e pelliccia uno come lui, coi vestiti lordi, non lo degnavano nemmeno di uno sguardo.
Una volta aveva sentito dire da un altro vecchio che “il futuro sta nella velocità”. Che il futuro volesse dire cambiamento, Albert Champion l’aveva scoperto presto e altrettanto presto aveva capito che per fare soldi c’era bisogno di cambiare. E così quando lesse che una fabbrica di biciclette cercava mani veloci per sistemare ruote e telai si precipitò di corsa. E altrettanto di corsa decise che diventare fattorino era meglio che sistemare raggi. Anche perché gli davano una bici tutta sua: bastava pedalare veloce e farlo per tutto il giorno.
Imparò in fretta a pedalare. E ancor più in fretta a correre più veloce di tutti. A tal punto veloce che si iscrisse a una gara e la vinse. Vinse pure la seconda e la terza. E anche quella in un velodromo. E ai primi soldi in saccoccia decise che avrebbe fatto il corridore, almeno per un po’.
Non aveva ancora peli sulla faccia quando iniziò a gareggiare per davvero. Aveva sedici anni e una gran voglia di tenersi alle spalle tutti quanti.
Quando però la voglia di correre è troppa, va quasi mai a finire bene. Una volta prese troppo forte una curva finì in un fosso e si ruppe la gamba in tre punti. Gli rimase due centimetri più corta. Poco male, sono pur sempre vivo, si disse, mentre montava sulla bici una pedivella di due centimetri più lunga. Era sciancato, ma mica scemo. E proprio perché non era scemo tornò a correre, ma dietro motore, così la sua gamba avrebbe sofferto di meno. Tornò ad andare forte, anche se non riuscì più a vincere.
Così quando scoprì che la Parigi-Roubaix quell’anno, il 1899, l’avrebbero corsa dietro motore, decise di iscriversi, ché non si sapeva mai com’era la vita.
Erano in 32 alla partenza, pochi. In ogni caso troppi per uno come lui che preferiva avere nessuno intorno. Dopo una sessantina di chilometri dalla partenza e dopo aver rischiato di cadere almeno tre volte, disse al suo allenatore di accelerare. Gli altri lo lasciarono andare: nessuno sano di mente può pensare di farsi 200 chilometri da solo. E per di più su strade come quelle. Scoppierà: di questo erano tutti certi.
Non scoppiò invece.
A Roubaix ci arrivò solo, primo, felice. Soprattutto per l’assegno. E ancor di più per l’invito, spesato e pagato, a una serie di riunioni su pista in America.
Si trovò bene Oltreoceano. A tal punto bene da decidere di rimanerci, di mollare la bici e darsi a qualcosa di più remunerativo: i motori. Iniziò a costruire candele, le candele Champion. Fece fortuna. Aveva ragione quel vecchio: “Il futuro sta nella velocità”.