Parigi-Roubaix, due imbucati al gran ballo di Colbrelli

Parigi-Roubaix, due imbucati al gran ballo di Colbrelli

03/10/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

La vittoria di Colbelli davanti a Vermeersch e van der Poel (4° Moscon) e i non invitati alla festa della Roubaix

Alla fine di tutto, nell’ultima immagine, quella che segue il trionfo e lo sconforto dell’atto finale in bicicletta, il centro della scena l’hanno preso due imbucati a quella grande festa agreste che è la Parigi-Roubaix. Sonny Colbrelli aveva da pochi istanti alzato le mani al cielo dopo aver superato per primo la linea d’arrivo del velodromo, aveva urlato la gioia per una vittoria che non poteva nemmeno immaginare essere possibile – si vince mai alla prima partecipazione, o così almeno dicono dato che dal 1953 non accadeva: quest’anno tutto il podio era al debutto alla Roubaix – poi aveva introdotto il primo invitato non atteso: la gravità.

La sua bici alzata al cielo di Francia e poi il repentino crollo a terra in preda a una gioia di lacrime, urla di incredulità, che sembra quasi disperazione ma animata da una gioia senza freni. Tanto roboante la sua, quanto composta quella di Mathieu van der Poel, anch’esso a terra, ma senza suono. Spento da una corsa che credeva di poter vincere, ma così non è stato, come al Giro delle Fiandre. La gravità sfidata ed evitata per tutto il giorno, colei che ha gettato nel fango le ambizioni di molti, diventa la prima coprotagonista della spannung francese.

La beffa però è nell’ambientazione della gioia di Colbrelli e della disperazione di van der Poel. Attorno a loro domina il verde. Il verde di un’erbetta fresca, graziosa, perfetta. Bagnata quel tanto e quel giusto per rigare di scuro il cerone che copre il volto dei corridori, confondendone i connotati. Già all’ingresso della Foresta di Arenberg i volti dei ciclisti si erano livellati, avevano assunto tutti un’espressione di occhi a sfesa e zigomi tirati come nemmeno il botox o una tiratina da chirurgo plastico.

03/10/2021 – Paris-Roubaix – Sonny Colbrelli (BAHRAIN VICTORIOUS)

È proprio l’erba che inizia a ridare il volto a Sonny Colbrelli, a restituirne l’aspetto che tutti conosciamo. Vista da davanti, i tre che si erano ritrovati a giocarsi la Roubaix sulla linea d’arrivo, erano simili. Tra loro e a tutti gli altri corridori che avrebbero raggiunto il velodromo. Solo una visione aerea dava loro una fisionomia tradizionale.

Foto A.S.O./Pauline Ballet

Su quell’erba, quella che il ciclismo fugge, quella che sul percorso della Roubaix nessuno ha visto – c’era, sgarrupata e severa certo, ma c’era – perché fuori dall’interesse di tutti, si è assistito all’esplosione di tutto quello che i corridori cercano di nascondere in bicicletta e pure fuori. Ma non questa volta. Perché questa volta, lo stesso prato che i ciclisti hanno calpestato ogni anno, è diventato per antitesi forse il colore più importante di questa corsa.

Dopo ore di toni di marron e di grigio, quella di Colbrelli sarà una vittoria verde. Verdissima.

Foto A.S.O./Pauline Ballet

Una vittoria disperata, come il terzo posto di van der Poel. Che viene quasi da pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che abbiamo visto, dato che l’unico che sorrideva tranquillamente sereno era il secondo Florian Vermeersch. Ridono mai i secondi, ma alla Roubaix tutto è possibile.

Soprattutto in questa Roubaix, che si è ritrovata bagnata dopo vent’anni, ottobrina come mai. Una Roubaix che si trovata messa in fila da debuttanti, all’arrivo, e per lungo tempo da Gianni Moscon, prima che una ruota a terra e un’incocciata a terra, qui ancora la gravità si era presa la scena, non imponessero al trentino il rientro nei ranghi, proprio quando aveva iniziato a credere in un finale diverso, certamente composto di una solitudine più allegra. Meglio quarto che dietro, disse Rik Van Looy nel 1959. A fine carriera di pezzi di pavé ne portò a casa tre.

Dopo 903 giorni Roubaix è tornato nella geografia del ciclismo. Lo ha fatto indossando l’abito più zozzo, che per molti è anche quello più bello, o quanto meno il più affascinante. Ma dal divano è sempre difficile giudicare, si è colpiti dalla teatralità e oggi, questa, ha vinto su ogni altra cosa. Come Sonny Colbrelli che ha fatto la gara che doveva fare, quella che giocando d’anticipo, ha giocato di difesa, che si è trasformato in attacco e poi attacco di gioia al termine di uno sprint che ha dilatato quel tanto che basta una corsa difficilmente dimenticabile. Perché ultima riedizione della sfilata delle statuine di terracotta a pedali.