
Quando la Parigi-Roubaix divenne l’Inferno del nord
15/04/2022Parigi si stava svegliando piano piano. Dalle collinette di Suresnes si intravedeva, al di là della Senna, qualcosa muoversi, un formicolare distratto, ma energico. Il tentativo di sfuggire a un incubo che si ripresentava ogni notte. Il Bois de Boulogne era avvolto in una nebbiolina fitta come un cattivo pensiero, del tutto indifferente ai raggi del sole che tiepidi cercavano di scoprirne in verde intenso.
Nessuno faceva caso però al parco. E neppure a ciò che stava loro attorno. I settantasette uomini in bicicletta pensavano ad altro e guardavano altrove. Più su, a nord. Lì dove si ammassavano nubi nere che promettevano il peggio.
Era il 20 aprile 1919 e si erano ritrovati di buon’ora. Potevano far altro. Le indicazioni erano quelle. Parlottavano piano, si raccontavano il dolore degli ultimi anni, le assurdità che avevano visto e vissuto. Avrebbero preferito fare altro, illustrare meravigliosi progetti futuri, descrivere gioie passate. Non c’erano più abituati però. Avevano dimenticato ogni cosa. Non erano i soli.
“Su di una bici si è tutti uguali”, e poi “pedalando le sensazioni sono le stesse per chiunque”, e ancora “la bici insegna la vicinanza tra le persone e tra i luoghi”. Belle parole. Le avevano lette tutti. Le aveva scritto sul finire del 1913 Henry Desgrange.
L’Europa e il mondo le avevano ignorate. Avevano deciso di farsi comunque la guerra. Anche la bici aveva imbracciato il fucile.
Per cinque anni Desgrange era sopravvissuto in qualche modo. Quando la guerra finì, ritornò a fare ciò che più gli piaceva: organizzare corse in bicicletta.
Era da mesi che lavorava al grande ritorno del Tour de France. Il Giro d’Italia era già ripartito, la Grande Boucle non ancora. Le prove generali le fece con la Parigi-Roubaix.
Guarda! La Pasqua riporta il suono delle sue campane, i boccioli in fiore, la nascita della primavera. Pasqua ci dà ancora una volta, per la ventesima volta, la classica Parigi-Roubaix, il bel evento nel quale giovani di belle speranze si battono per un nuovo futuro, e le vecchie glorie provano a far barriera alla marea delle ambizioni dei nuovi arrivati.
Lo scrisse il giorno prima della partenza.
A Suresnes il silenzio iniziò con uno squillo di tromba. Un minuto per rendere omaggio a chi non c’era più. Poi le bici iniziarono a scorrere sulle strade di Francia, verso nord, verso Roubaix.
La pioggia colse i corridori dopo un centinaio chilometri, anticipata da un vento gelido che scendeva dal Mare del Nord. Le gocce si riversarono sulla schiena dei corridori all’uscita del paese di Saint-Pol-sur-Ternoise. Fu lì che Henri Pélissier si alzò sui pedali e scattò con alla ruota il fratello Francis. Ci volle qualche chilometro prima che Philippe Thys, Dieudonné Gauthy, Jean Rossius, Alfons Spiessens, Louis Heusghem, Honoré Barthélémy e Robert Jacquinot riuscissero a rientrare su di loro.
Tra Cambrin e La Bassée, toccò a Francis provare l’assolo. Ma mentre sognava una cavalcata solitaria verso Roubaix la sua gomma posteriore iniziò a sgonfiarsi, vide Thys, Barthélémy e il fratello Henri volare sulle pietre di Annœullin, capì che per lui era finita.
La bufera intanto travolgeva la campagna francese. Incurante che nessuno ne sentisse il bisogno.
I lampi si riflettevano negli specchietti d’acqua di buche profonde metri, tra spettri di alberi bruciati, rimasugli di case, monconi di palazzi, mentre la desolazione di campi in cerca di coltivatori faceva da teatro a quei tre uomini curvi sulle loro biciclette.
Da una delle auto che li seguiva un uomo scrisse sul suo taccuino “Questo è davvero l’inferno del Nord“.
Victor Breyer non cambiò idea vedendo le spoglie di Roubaix non cambiò idea. Quella frase non la cancellò. Anzi. La cerchiò.

E non mutò opinione neppure quando scorse Henri Pélissier abbattere le resistenze di Thys e Barthélémy, sorridere dopo l’arrivo e dire che “oggi è una rinascita. Per me, per il ciclismo. Forse per la Francia”. Anzi. La sottolineò.
Quella frase, quella cerchiata e sottolineata, dopo la gara la utilizzò per iniziare il suo articolo.
In molti la trovarono bellissima, affascinante. Chi la lesse dopo aver corso quella gara la trovò veritiera, non ci pensò nemmeno per un attimo a smentirla. Da quel giorno la Parigi-Roubaix fu questo: l’Inferno del nord.