
Rivedersi a Roubaix
30/09/2021• Domenica saranno passati 903 giorni dall’ultima Parigi-Roubaix. Quest’anno la settimana santa del pavé si è dilatata di oltre cinque mesi. Ma almeno si corre
L’erba è ben tagliata all’interno dell’ovale di cemento. Come al solito. E come sempre nessuno se ne accorgerà. Gli occhi vagheranno altrove su quella striscia grigio-ocra che sta attorno al prato, in cerca dei superstiti di quel viaggio nello spazio e nel tempo che è sempre la Parigi-Roubaix.
Un viaggio che domenica 3 ottobre vagherà ancor più nel tempo, mentre quegli spazi si sommeranno uno dopo l’altro negli occhi dei corridori e dei tifosi, dentro l’obiettivo della telecamera, all’interno della memoria di tutti gli appassionati.
L’ultimo ricordo dell’Inferno del nord stinge al seppia. Domenica saranno passati 903 giorni da quando Philippe Gilbert oltrepassò per primo per l’ultima volta la striscia bianca che segna la conclusione della corsa.
Molte crisi e molti cicli vincenti sono durati meno di 903 giorni. Anche diverse infatuazioni.
Quella di Roubaix per le biciclette e quella del ciclismo per le pietre è però passione ultra secolare. Cosa sono 903 giorni a confronto di centoventicinque anni? Un soffio di tempo. Un sacco di tempo. Il tempo del ciclista non è paragonabile a quello della storia. E già suppergiù 365 giorni di attesa ci sembrano un’infinità, che ce ne vorrebbero almeno due Roubaix l’anno per placare la fame di pietre che ci sale quando l’inverno finisce a Sanremo e la primavera si prende un mesetto a venire, che si sa su al nord viene dopo.
La pandemia ha cancellato l’edizione 2020. Poi ha costretto al rinvio quella 2021. Una decisione che ha allungato a dismisura la settimana santa, quei sette giorni di festa e passione (nel senso cristiano del termine) che sono soliti separare le due più importanti e affascinanti corse sulle pietre: Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix.
La sacralità è anche una questione temporale: necessita di continuità, di una certo ritmo, di eventi cadenzati. Dilatare i tempi corrode l’attenzione, forse fa crescere l’attesa, ma la trasforma, la rende nervosa. Bagatelle certo rispetto all’alternativa di non poterla vedere affatto.

Questo 2021 ci darà l’occasione di osservare una Roubaix destagionalizzata, autunnale. E si sa mai che possa essere una scoperta interessante. Potrebbe soprattutto permettere a un paio di generazioni di assistere alla processione di maschere di fango al posto delle ormai consuete maschere di polvere. Maschere in ogni caso saranno, l’Inferno del Nord ti cambia in ogni caso i connotati. Le previsioni dicono pioggia per tre giorni. Alcune per solo due. Ma si può mai essere sicuri del meteo tra Francia e Fiandra.
Una Roubaix bagnata manca dal 14 aprile del 2002. A domare le pietre c’era ancora Johan Museuuw; non c’era più Franco Ballerini – che l’ultima la corse un anno prima –; era apparso Tom Boonen per la prima volta. Nessuno di chi era sceso in strada allora è ancora in gruppo.
Quel che è certo che il meteo non modificherà in ogni caso il piacere di riabbracciare la Roubaix. Almeno per noi ciclisti da divano. Chi la pedalerà qualche obiezione potrebbe farla, qualche speranza o timore lo potrebbe esprimere.
In ogni caso i corridori troveranno il pavé nella solita forma perfetta. Perché per le cose fragili e meravigliose serve avere cura e attenzione, servono coccole e pazienza. E in questo caso picconate e mani sporche di terra. Les Amis de Paris-Roubaix hanno fatto quello che fanno ogni anno, ossia rendere le pietre crudeli dando loro però una perfida regolarità. Se non ci fossero loro i settori di pavé sarebbero scomparsi sotto metri cubi di fanga e questa corsa forse non esisterebbe più. La Roubaix è una lucidissima follia, come l’amore.