
Il richiamo della polvere
12/01/2021C’è stato un momento nella seconda metà degli anni Zero del Duemila che in molti in America avevano iniziato a pensare che Peter Stetina potesse diventare un gran corridore nelle corse a tappe, uno da alta classifica, uno che avrebbe dato grosse soddisfazioni al ciclismo a stelle e strisce. Nel 2005 aveva stravinto la prova in linea dei campionati statunitensi juniors dimostrando un talento esuberante. Nel 2008 aveva centrato il titolo a cronometro tra gli under 23, successo bissato l’anno successivo. Al Tour de l’Avenir aveva poi dimostrato di essere all’altezza dei migliori giovani sia nel 2008 (decimo) che nel 2009 (settimo).
Non è andata così. “Mi è sempre mancato qualcosa, forse il senso di libertà che mi ha sempre spinto a pedalare”, disse il giorno del ritiro nel 2019. Non c’era tristezza o rimorso nel suo viso. Le sue parole erano solamente una constatazione di com’era andata sino a quel momento. Sapeva Peter Stetina che il meglio doveva ancora iniziare. E il meglio era il ritrovare quel “senso di libertà”.
Il 2020 doveva essere l’anno del grande ritorno alla bicicletta. L’anno del riabbraccio della sua “dimensione pura e primigenia”. Basta squadre, capitani, direttori sportivi eccetera. S’era messo in proprio, aveva cercato sponsor, era diventato imprenditore di se stesso, deus ex machina del suo professionismo. Perché l’addio al ciclismo non equivaleva né a quello alla bicicletta né tantomeno a quello delle gare. Lui il numero sulla schiena se lo voleva continuare a mettere, solo che a suo modo, in gare dove non si deve attendere l’ammiraglia, dove non ci sono meccanici pronti a intervenire a ogni minimo problema. Dove soprattutto nulla si risolve in poco più o poco meno di duecento chilometri. Autonomia e lunghe distanze “perché in fondo la bicicletta mi ha insegnato soprattutto una cosa: bisogna imparare a contare soprattutto su se stessi”.

Stetina questo insegnamento lo voleva mettere in pratica sin da subito. La pandemia di Covid-19 ha rimescolato e rallentato un po’ tutto. Tra gare saltate e problemi di spostamento l’americano ha pedalato soprattutto per sé. Per testare la gamba si è lanciato in qualche prova cronometrata certificata da Strava. A settembre ha cavalcato la White Rim Road che altro non è che un tripudio di polvere e silenzio. Circa settanta miglia di strada sterrata che percorre ciò che l’erosione del Green River e del fiume Colorado hanno risparmiato all’interno di quello che da un po’ è il Canyonlands National Park nello Utah. Decenni fa i ciclisti della zona pensarono bene che quello fosse un buon posto per scorrazzare in bici. Lo scenario nel quale si pedala dà loro ragione. A qualcuno poi venne in mente che quella strada fosse perfetta anche per dimostrare di essere il più forte. E così hanno smesso di guardarsi attorno e hanno iniziato a darci dentro sui pedali e, soprattutto, hanno iniziato a cronometrarsi. E dato che la White Rim Road partiva in un punto e terminava in un altro, hanno deciso, per logistica, di allungare il tutto di qualche miglia. L’idea è piaciuta a tal punto che ogni anno sono centinaia e centinaia le persone che decidono di fare un giro lì, tra quei centosessanta chilometri e spicci, in sella a una mountain bike. C’è chi la spezza in due o in tre tappe, chi la fa tutta, chi la fa tutta a tutta. Il più veloce è stato proprio Stetina: cinque ore ventotto minuti e ventitré secondi, il tempo di Peter Stetina, il migliore sinora realizzato, poco meno di due minuti in meno rispetto a quello stabilito da Keegan Swenson, che nella vita fa il campione di sci di fondo, ma che in bici, a quanto pare, sa andare altrettanto forte.

L’obbiettivo principale è ben figurare nel Rock Cobbler, una di quelle mattate estenuanti che piacciono agli americani: circa cento miglia da fare con bici da gravel con un dislivello positivo che supera i cinquemila metri lungo un percorso che nessuno conosce sino al via della gara e con tratti nei quali può succedere di tutto: gente che ti lancia palloni gonfiabili, pneumatici da tir da superare in bicicletta, flessioni da fare sulle balle di fieno, cose così.
Il 5 giugno 2021 alla fu Dirty Kanza, ora ribattezzata Unbound Gravel per il solito problema di pulizia della lingua americana, potrebbe trovare più di un professionista che alla strada ha iniziato a unire la polvere dei campi. “Le gare possono prosciugarti la voglia di pedalare. A volte staccare è l’unica soluzione”, disse nel 2017. Stetina ha staccato davvero, ha seguito il richiamo della polvere e nella polvere si è immerso.