
Pioggia rosa sugli appennini. Il Giro d’Italia visto da bordo strada
13/05/2021Raramente vado alle partenze dei grandi Gran Tour. Preferisco incontrare le corse nei momenti meno vistosi, apprezzo di più l’atmosfera attorno al mondo dei corridori. Quest’anno al Giro d’Italia mi chiedono di vederci a Torino. Dopo dieci anni la corsa parte da qui, è un anniversario pieno dell’Unità di Italia: dieci anni fa 150, quest’anno 160.
Ci sono tre giorni intensi tra gli arrivi delle squadre, la presentazione ufficiale e il giorno prima del prologo di febbrile attesa. È tutto una novità anche se il rituale si ripete ogni volta. Il fascino del Giro è questo, parti e attraversi sempre le stesse località e le stesse città ma ogni volta è diverso, e ogni volta ti stupisce come fosse una cosa nuova.
Io do appuntamento a Piacenza. E quella tappa che arriva a Sestola mi piace. Si esce dalle prime scorribande di inizio corsa con tutti che cercano l’avventura e la visibilità e si comincia invece il vero percorso con le prime tortuosità e asperità e gli arrivi in quota.
Al piazzale degli accrediti ritiro il mio pass che rinforzerà la collezione rosa e dei Garibaldi, il fedele libro dove c’è scritto tutto di tutte le tappe. Piove. Non è la prima volta che vado al Giro sotto il diluvio e con il freddo, ma queste sono considerazioni che non si fanno e con qualsiasi mezzo ci si copre e si sta fuori in attesa di vedere i corridori o qualcuno che si conosce.
Alla lunga fila dei bus, saluto Bruno Cenghialta, direttore sportivo dell’Astana e ottimo corridore sia da dilettante che da professionista, sta parlando con Bruno Reverberi e al mio grido “Ciao Bruno” anche quest’ultimo si gira e mi saluta come fossimo amici di lunga data. Sempre generoso Bruno Reverberi.
Poi incontro Manuel Quinziato che ora fa il procuratore e Giovanni Lombardi che come al solito è di fretta e gli chiedo lo stato d’animo dei suoi corridori e gli faccio i complimenti per Ganna, Viviani, Moscon e Eric Mas.
Arrivo al bus della Bora-hansgrohe e con i meccanici, i miei preferiti, scambio delle chiacchiere e scopro novità. Tappa difficile sarà quella di oggi e il brutto tempo non aiuta di certo, ma Peter Sagan vuole entrare in fuga per lasciare poi spazio agli scalatori chiamati oggi dal loro percorso preferito. Vedo poi Angelo Striuli, che forse pochi conoscono, ma è colui che gestisce tutta la logistica delle partenze e degli arrivi coordinando spazi e percorsi. Lui già lavora alla edizione 2022 e qui sta solo osservando un anno di lavoro intercorso. Siamo amici, è trevigiano e ci conosciamo da anni.
Lascio per tempo la partenza e inizio a percorrere la strada della tappa. Piatta fino a Parma, poi l’Appenino si affaccia e mi addentro nel bellissimo itinerario delle Terre di Canossa, l’antico feudo di Matilde che andava da Mantova alla Toscana e qui è tutto un susseguirsi di irte colline e vallate strette.
Si fanno i Castelli, da Rossena, poi Carpineti dimora di elezione della Contessa e Canossa. E in salita verso Vercallo i tornanti hanno dei nomi, da Lambrusco a Erbazzone a PPPC come nelle grandi montagne alpine. Si scende per Ponte Secchia lungo il fiume, posto selvaggio in mezzo la nebbia che per fortuna i corridori deviano per non salire al Passo Radici che mette angoscia solo a vederne la strada.
Fantastico un po’ ricordando qualche lettura dei tempi di scuola, e osservando questi territori per me poco noti non essendo posti di viticoltura e frutticoltura. Non c’è nessuno e i borghi si vedono molto di rado. Giro a destra e salgo verso Montemolino, uno strappo durissimo e tantissimi stanno salendo a piedi per vedere la corsa nel pieno dello sforzo.
Bello vedere il pubblico del ciclismo. A tutte le latitudini e a ogni corsa, i tifosi sono tutti da raccontare, senza distinzione di genere e età ma diversissimi nel loro essere, grandi e piccoli, famiglie o gruppi. Mangiare all’aperto è d’obbligo, con tende o ombrelloni o quello che si può. Cartelli con scritto di tutto, da Forza Bartali, a Scarponi che è sempre vivo nel cuore di tutti. Sino a Evviva tutti. Campanacci, trombe, macchine fotografiche e cappellini di ogni epoca e squadra. E le squadre minori e amatoriali tutte presenti con maglie e loghi ben visibili. Piove ma chissenefrega.
Mi fermo anch’io, a Lama Mocogno, mai stato prima. Centro del Frignano a oltre 800msl in mezzo a boschi e pascoli; lama significa paludoso, forse in tema con oggi. Il borgo è diviso in due da un tornante in salita; sotto un gruppo di case e sopra la via principale. La nebbia avvolge tutto e c’è il Ponte del Diavolo li vicino che nell’antichità ospitava riti pagani. Cerco qualcosa da mangiare tra crescentine, borlenghi e gnocco fritto. Le specialità locali che non si possono lasciar perdere. I corridori sono a circa 50 km da dove sono io e da qui c’è solo l’ultima salita di Sestola che farà male alle gambe.
Per caso nella curva fuori di un bar trovo due amici di lungo corso, Gino Cervi e Cauz. Seguono il Giro, e li rivedo volentieri dopo mesi. Leggo tutto quello che scrivono e li ammiro, raccontano il ciclismo nei contorni delle gare e degli atleti. Scambiamo delle chiacchiere ci diamo appuntamento lungo le strade, magari tra l’Abruzzo e l’Umbria.
L’anno scorso abbiamo cenato assieme ad Azzano Decimo e bevuto un Refosco. Magari quest’anno tocca a un Montepulciano o un Sagrantino di Montefalco. Scappano subito devono andare all’arrivo. Io cammino lungo la via per allontanarmi dalla gente, mi piace guardare i corridori lontano da altri così mi gusto tutto.
Due in testa, Taaramae e Juul Jensen, poi da solo Andrea Vendrame che io chiamo RazzaPiave che abita vicino a me nella sinistra Piave. Quindi un Alessandro De Marchi che sarà la nuova maglia rosa. E sono contento per lui, per la sua carriera, e per il suo modo romantico di vivere lo sport e la vita.
Il gruppo passa dopo qualche minuto, tutti i migliori sono lì. Non facile distinguerli bene tra acqua e mantelline. Un gruppetto arriva e riconosco Cece Benedetti e lo saluto. Ma sento un urlaccio ed è Peter Sagan, che mi saluta. Che matto quello lì, prende il ciclismo come un gioco e si diverte.

Qualche ora prima Gabriele Uboldi mi ha detto, Peter è uno dei corridori e atleti più semplici da gestire, dice sempre di sì e non ha mai remore o pretese. È proprio così il grande Peto.
Passano tutti comprese le ultime ammiraglie, vado verso la macchina e scendo per Modena, passando per Vignola patria della ciliegia. Per radio Massimo Ghirotto e Silvio Martinello mi tengono compagnia e ascolto gli ultimi chilometri con il commento di Salutini che ripete all’infinito che la tappa resterà nelle gambe per qualche giorno.
Arriva secondo Alessandro De Marchi e prende la maglia. Abita a Buja vicino Pordenone. Gli piace il vino rosso e il Cabernet Franc. Oggi è meno rosso il Rosso di Buja, un po’ più rosato.