Quando Sciascia scoprì il ciclismo

Quando Sciascia scoprì il ciclismo

08/01/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Se c’era una cosa di cui era sempre andato fiero Leonardo Sciascia era quella di non aver mai preso la patente. “Guidare? Tempo buttato”, aveva più e più volte detto all’amico Luigi Bartolini, lo scrittore del romanzo, poi diventato film grazie a Vittorio De Sica, Ladri di biciclette. Per lo scrittore siciliano la macchina era “un oltraggio alla propria tranquillità, un modo per ripudiare la vita”, in sintesi, “un modo per gettare alle ortiche il proprio tempo”. Passeggiava Sciascia, “per dare ordine ai pensieri”, e lo faceva per tutti i chilometri che gli erano necessari. Se la distanza non la poteva coprire a piedi c’era il treno, “che è il modo migliore per muoversi: lui borbotta e corre e tu fai ciò che vuoi o devi fare”, il miglior modo per godere del “piacere del sentire il viaggio, il tempo e lo spazio del viaggio”.

Per anni Luigi Bartolini provò a convincerlo di imparare almeno ad andare in bicicletta. Non ci riuscì. Una “diavoleria di fatica e d’equilibrio” alla quale aveva sempre rinunciato volentieri. La bici era cosa da libri, da film, al massimo da pittori. Aveva apprezzato molto Dinamismo di un ciclista di Boccioni quando l’amico Lamberto Vitali lo portò a vederlo a casa di Gianni Mattioli. Ma lì dovevano stare, lontano da lui.

Umberto Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 70 x 95 cm, Collezione Gianni Mattioli, Peggy Guggenheim Collection, Venezia

Ancor più lontani erano i ciclisti, impegnati com’erano nella loro faticosa rincorsa a qualcosa di per lui così effimero da non dargli peso: la gloria sportiva.

Fu un giorno di fine maggio a Palermo, mentre sedeva a chiacchierare a fumare nella terrazza della casa di un amico, che il ciclismo si materializzò negli occhi dello scrittore. Rik Van Linden per Sciascia probabilmente poteva essere al massimo un’oscuro pittore fiammingo, non certo il vincitore della terza tappa del Giro d’Italia del 1976, ma di quel giorno lo scrittore fu “colpito da quel mare di colori e di quelle grida colorate anch’esse, che accompagnavano il turbinio dei ciclisti”, scrisse Luigi Bartolini parlando di Sciascia all’amico Lamberto Vitali.

Fu una sorpresa per Sciascia che però non lo avvicinò al ciclismo. A inizio degli anni Ottanta fu proprio Vitali a proporgli di seguirlo nell’agrigentino dove doveva realizzare un servizio fotografico per un editore francese. Avrebbero seguito una tappa del Giro d’Italia che quell’anno attraversava la zona e dal quale poteva in qualche modo trarre giovamento per le sue fotografie. Declinò l’invito. “Il Giro per me è un ricordo di un pomeriggio di anni fa. Troppo clamore, troppo rumore. Il ciclismo non è cosa per un siciliano”.