Quel ricciolo che unisce il Puy de Dôme e il Tour de France

Quel ricciolo che unisce il Puy de Dôme e il Tour de France

08/07/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Domenica 9 luglio ritorna nel percorso del Tour de France il Puy de Dôme. Una storia iniziata per caso durante l’occupazione nazista e finita con l’addio di Goddet


C’è nessuna montagna più simile al Tour de France del Puy de Dôme. Sono fatti per stare assieme, per andare a braccetto. Un grande ricciolo è il Tour, lo era in origine per percorso, lo è ancora per definizione: Grande Boucle. Un grande ricciolo è anche il Puy de Dôme, o quantomeno la strada che conduce in cima alla sommità, arrotolandosi sul cono del vulcano: un’unica lunghissima curva, un velodromo verticale. I grandi riccioli a volte prendono strade differenti, ma sono destinati a reincontrarsi. Fanno così i riccioli, tornano sempre indietro. Domenica 9 luglio, il Puy de Dôme ritorna nel percorso del Tour de France 35 anni dopo l’ultima volta.

S’erano voluti bene il Tour de France e il Puy de Dôme. Tredici arrivi in cima, appuntamento fisso, biennale, negli anni Settanta. Era la salita che Eddy Merckx mal tollerava, la speranza per gli avversari che potesse essere quella giusta per decannibalizzare la Grande Boucle. Merckx non ha mai vinto nelle quattro volte, tre volte vestì la maglia gialla a Parigi.

Jacques Goddet, direttore del Tour de France dal 1937 al 1988, s’era innamorato del Puy de Dôme che gli anni Quaranta erano appena iniziati, i tedeschi avevano conquistato mezza Francia e di speranze per un futuro felice ce ne erano poche. Era passato più di una volta per Clermont-Ferrand ufficialmente per impegni di lavoro: L’Auto, il giornale, che dirigeva aveva avanzato l’idea di organizzando dei giochi sportivi militari, gli occupanti avevano dato il loro via libera. In Alvernia però Goddet contribuiva anche, soprattutto, all’organizzazione delle resistenza. E ogni volta che vedeva il Puy de Dôme, si vede da ogni punto (o quasi) di Clermont-Ferrand il Puy de Dôme, si diceva che c’avrebbe portato prima o poi il Tour in cima al vulcano.

Ci vollero una decina d’anni a Jacques Goddet per riuscirci. Prima per la guerra, poi per trovare il modo di convincere i colleghi che l’idea degli arrivi in salita non era malvagia e che sarebbe stato senz’altro un successo. Non esistevano gli arrivi in salita al Tour. Henri Desgrange non li voleva nemmeno sentire nominare. Diceva il primo direttore del Tour: “Il ciclismo è uno sport che per esistere deve arrivare in città, perché in città ci sono le persone”. Aggiungeva: “Il ciclismo è uno sport di fatica, gambe buone, cervello fino, temerarietà. Per vincere il Tour, un atleta deve dimostrare di essere il più forte e il più completo. E per dimostrare di essere il più completo deve dimostrare di andare forte anche in discesa e non avere paura”. Concludeva: “Ci sono due lati della montagna: se uno sale, l’altro scende. Queste sono le montagne del Tour”.

Il Puy de Dôme non ha due lati, non ne ha nessuno in realtà, è conico. Il Puy de Dôme non ha salita e discesa, ma solo salita o solo discesa, ma prima serve arrivare in cima. Il Puy de Dôme non era e non poteva essere una montagna da Tour de France. Lo diventò con il tempo, aspettando il momento giusto.

Il momento giusto scoccò nel 1952. Goddet riuscì a convincere tutti della bontà delle sue idee. Era il direttore, ma doveva pur sempre rapportarsi con colleghi che potevano bloccare, per volere testamentario di Desgrange, “eventuali imbarbarimenti della corsa”.

Goddet inserì nel percorso l’arrivo in quota all’Alpe d’Huez, quello al Sestriere, infine, alla terzultima tappa, il pezzo forte, “la salita delle salite”, il Puy de Dôme, l’atto d’amore che si era promesso, che aveva promesso al vulcano. Fausto Coppi vinse su tutte e tre le cime, rese memorabile quel filo montano che Goddet aveva disegnato tra Alpi e Massiccio centrale.

Goddet lasciò la direzione del Tour nel 1988, si regalò un ultimo passaggio sulla sua montagna. Non era il massimo il Puy de Dôme negli anni Ottanta (nonostante fu nel 1983 che il vulcano diventò la prima salita Hors catégorie posto nel Massiccio centrale). Era diventato traguardo buono per cronoscalate o fughe di giornata, nessun grande duello, troppa gente in giro, malcontenti generali. Erano lontani gli anni Sessanta e gli anni Settanta, erano lontane le grandi sfide sul cono vulcanico, i grandi campioni vincenti in cima. Goddet lasciò, il Puy de Dôme pure.

Per qualche anno venne messo in ghiacciaia, poi arrivarono problemi politici, ambientali, soprattutto di mobilità. C’è solo una via asfaltata che porta in cima (Gabriele Gianuzzi su L’Ultimo uomo spiega tutto e molto bene, vi rimando a lui se volete approfondire).

Il ritorno del Puy de Dôme in corsa non è però solo il ritorno di una salita in un percorso è un ponte che unisce più generazioni, che farà capire ai più giovani – che il Puy de Dôme non lo ha mai visto – di cosa parlavano i loro vecchi quando riproponevano quei racconti, allora solo cartacei, di duelli con asce e fioretti, tra i vulcani spenti di Francia.