Quella volta che… Coppi conquistò lo stelvio prima di nascere

Quella volta che… Coppi conquistò lo stelvio prima di nascere

09/02/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Il primo giugno del 1953 sul Passo dello Stelvio Fausto Coppi ribaltò il Giro d’Italia. A centinaia di chilometri di distanza invece Tito si perse e mai non tornò


La famiglia uno non se la sceglie, capita. A Mauro Porrin non ne capitò solo una, ma tre. Quella di sangue: Antonio, padre, Rosella, madre; quella dei Roncon: Pierino, padre, Ginevra, madre, Aurelia, figlia; stessa casa prima per sfollamento, poi perché dato che era grande e che i vecchi chi per la guerra chi per crepacuore avevano salutato ci si stava bene anche in più; il partito, quello Comunista, per via paterna e paterna acquisita. Nemmeno quella una grande famiglia: “Al massimo una ventina. Ma era un piccolo paese agricolo perso nella pianura veneta. All’epoca eravamo tutti proletari ma per la quasi totalità delle persone l’unica cosa rossa era la croce nello scudo. Mio padre e lo zio Pierino, che non era mio zio vero ma tant’è, erano gli unici due comunisti della strada, ed era una strada lunga oltre due chilometri. Casa nostra era chiamata da tutti Casa Russia. Io mi chiamo Mauro per Mauro Scoccimarro che era friulano come mio padre. E mio fratello si doveva chiamare Tito, per quel Tito”.

E invece non solo la famiglia non la si può scegliere, ma nemmeno gli imprevisti della vita. Tito non nacque mai. O meglio, il bambino venne al mondo, ma Tito invece si perse, non finì mai in un registro d’anagrafe, nemmeno come secondo, terzo o quindicesimo nome. Evaporò in una giornata di giugno.

“Io avevo tredici anni e mi ricordo bene quei mesi. Io ero nato prima della guerra, una sorellina morì pochi giorni dopo il parto e ai miei gli ci volle del tempo per riprendersi. Poi mi dissero che sarebbe arrivato un fratello. Secondo mio padre avrebbe dovuto chiamarsi Palmiro. Ma a mia madre non piaceva proprio, anzi diceva che le faceva schifo, diciamo così. E così decisero per Tito, che mio padre era contento per via della politica e mia madre pure per via degli imperatori. Fosse stato per lei l’avrebbe chiamato Cesare. Bah”.

Tutto deciso insomma. Eppure mica tanto. Perché “accadde l’imprevisto, l’incredibile divenuto reale”.

Colui che doveva essere Tito nacque verso la sera del primo giugno 1953. “Mio padre non l’ho mai visto così felice. Era raggiante, aveva gli occhi stupiti di chi non poteva credere che tutto fosse vero. Aveva passato il pomeriggio dai vicini, che erano socialisti e non democristiani, quindi erano quasi amici a sentire la radio. Tanto mia madre era tranquilla, diceva lui, che doveva partorire il giorno dopo. Andava dai vicini solo quando c’era qualcosa di importante alla radio. Noi non ce l’avevamo, però avevamo il grammofono. Quel giorno ci andò meno speranzoso del solito però. Diceva che non ce l’avrebbe mai fatta a fare il miracolo. E lo diceva con una profonda convinzione. Non ci credeva proprio. Tornò con le gote rosse di chi aveva bevuto una bottiglia di rosso di troppo continuando a dire ‘incredibileincredibileincredibile’. A macchinetta, senza sosta alcuna. Nel frattempo mia madre aveva accelerato i tempi e quell’incredibileincredibileincredibile, continuò fino a notte inoltrata. Quando la levatrice gli disse che era maschio e glielo diede in braccio, lo guardò e gli disse: ‘Benvenuto Fausto’. Mia madre non credo si accorse di niente allora. Si incazzò di brutto quando mio padre tornò dal comune e gli annunciò che l’aveva chiamato Fausto, ‘eh sai cara non sai cosa è successo ieri: Coppi ha ribaltato il Giro sullo Stelvio, cose da non credere. In un giorno così non potevamo chiamarlo se non Fausto…”.

Fausto Coppi quel giorno davvero fece una cosa incredibile, ribaltò un Giro che Hugo Koblet aveva già vinto e che il Campionissimo stesso aveva riconosciuto vincitore il giorno prima a Bolzano dopo non essere riuscito a staccare lo svizzero tra le Dolomiti. Le parole però si danno, si cerca di rispettarle, ma poi succede sempre qualcosa. E Koblet quel Giro lo perse: c’è chi dice per l’altitudine, chi dice per estrema baldanza (inseguì per primo Nino Defilippis ignorando, anzi cercando di dilatare quei cinque-dieci metri che l’Airone aveva perso di proposito); chi per troppi borraccini il giorno precedente (Ettore Milano, vide gli occhi dello svizzero cerchiati e rossi di chi non aveva dormito per troppi eccitanti); chi per l’una e per l’altra.

“So mica perché Koblet perse quel Giro, so di certo però che Coppi lo vinse e che Fausto nacque quel giorno. Certo Fausto Porrin, mica Coppi”.