L’Ora di Alex Dowsett

L’Ora di Alex Dowsett

03/11/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Alex Dowsett si cimenta con il Record dell’Ora, “prova estrema per uomini estremi”. Deve far meglio dei 55,089 km percorsi da Victor Campenaerts


L’ora più veloce, l’ora più lunga. A volte la sola, perché “una cosa così… mai più”. Lo disse Fausto Coppi il 7 novembre 1942, pochi minuti dopo aver pedalato 45,798 chilometri in sessanta minuti. Mai nessuno era riuscito a fare altrettanto: Record dell’Ora. C’è a chi invece un’ora così, a tutta a girare in un velodromo, non basta. Alex Dowsett è uno tra questi, non uno da una botta e via. Uno che a un’Ora così si è affezionato e che di un’Ora così ha nostalgia. Canaglia, la nostalgia, quando è così. Alex Dowsett ritenta il Record dell’Ora. Quello che aveva conquistato il 2 maggio 2015 al velodromo di Manchester: 52,937 chilometri. Quello che era durato poco più di un mese appena. Glielo aveva sottratto a Londra Sir Bradley Wiggins: 54,526 chilometri.

Ora c’è mezzo chilometro in più da andare veloce per Dowsett. Parecchi, troppi al cinquanta per cento, almeno per Victor Campenaert, l’uomo a pedali più veloce del mondo. Almeno tra quelli che li hanno mossi per un’ora sull’ovale di un velodromo: 55,089 chilometri. Almeno tra quelli dell’Ora legale, quella omologata dall’Uci. Perché ci sarebbe anche il Record dell’Ora che legale non è più, perché, dicevano alla Federazione internazionale, fossero “viziati” dalla tecnologia: bici troppo performanti, quasi non fosse il ciclismo un connubio tra forza e tecnologia. E così i 56,375 chilometri di Chris Boardman sono stati presi e messi in un nuovo contenitore, la Miglior prestazione umana sull’Ora. Che tanto umana non è, ma tant’è.

Il posto scelto da Dowsett per tentare di battere Campenaerts è lo stesso che scelse il belga per battere Wiggins: Aguascalientes, Messico, 1.888 metri sul livello del mare. Colpa, o merito, dell’aria, più rarefatta, quindi migliore da tagliare ad alta velocità.

È una questione di dettagli il Record dell’Ora, anche se poi, a dirla tutta, sono le gambe a muoversi e la testa a comandarle. Ma anche un metro in più potrebbe essere sufficiente, quindi ci si affida a tutto, anche al centesimo di secondo in più che un tessuto dice di garantire.

Alex Dowsett ha studiato tutto nei minimi particolari. Ora funziona così. Sono cambiati i tempi. Non si improvvisa un Record dell’Ora.

Dieci anni fa, l’ex recordman dell’Ora Ferdinand Bracke (il 30 ottobre del 1967 a Roma si fermò a 48,093 chilometri) disse che “ai miei tempi contavano due cose: essere il più forte cronoman e il più grande testardo. Solo così potevi pensare di migliorate il Record dell’Ora. E poi dovevi sentire il momento giusto. Io capii che ero pronto un paio di settimane prima. Mi dissi: ‘Perché no?’. E così conquistai il Record. Ora no. Non basta più tutto questo. Serve anche avere dei grandi ingegneri e allenatori e dedicarsi anima e corpo a questo progetto. La tecnologia, sia meccanica sia d’allenamento è entrata nel ciclismo e l’ha sconquassato. Fortuna che sulla bicicletta ci corrono ancora i ciclisti. E sono pure gran ciclisti”.

Il sadismo del Record dell’Ora è diventato un sadismo scientifico. Chissà che cosa ne avrebbe pensato Henri Desgrange, il papà del Tour de France, che questa disciplina se la inventò. Allora disse che doveva essere “una prova estrema per uomini estremi”. Il primo a tentarlo fu lui stesso. Poi in tanti lo hanno seguito. A qualcuno è andata bene, a qualcuno no. Tocca a Dowsett ora.