
La Sei giorni di Gent è più di una Sei giorni
17/11/2021La Sei giorni di Gent è la più antica Sei giorni che ancora viene disputata. Si corre l’ottantesima edizione del “Tour de France del ciclismo su pista”
Quando nel dicembre del 1954 la Federazione belga decise che ci sarebbe stato un cambiamento nel calendario delle Sei giorni (qui il dizionario minimo per capire cos’è una Sei giorni) per evitare sovrapposizioni, nelle Fiandre si rischiò la rivoluzione.
Eddy van Post, che curava allora il reparto pista della federazione, ebbe la sciagurata pensata di annunciare alla radio la decisione di spostare la Sei giorni di Gent a novembre. D’altra parte, ragionò a voce alta il responsabile federale, a Brussel si correva a dicembre, ad Anversa a marzo e quella nella città fiamminga poteva essere tranquillamente posticipata per permettere una migliore gestione degli eventi ciclistici.
Un ragionamento che appare sensato può però non esserlo davvero. Soprattutto per chi aspettava con trepidazione un nuovo febbraio da dieci mesi. Potevano aggiungersene altri undici di attesa? A Gent erano sicuri che la risposta fosse una sola e fosse esatta: no, un no secco, senza possibilità di appello.
Nessuno tocchi la Sei giorni di Gent
In poche ore davanti ai cancelli del Kuipke, il velodromo di Gent, si radunò circa un migliaio di persone. Altrettanti ne arrivarono nelle ore successive. Qualcuno minacciò di occupare l’edificio. Altri, tramite la radio, invitarono la Federazione a non fare sciocchezze. Altrimenti…
Nessuno si degnò di rispondere e così il velodromo fu occupato e gli inviti diventarono minacce. Per due giorni si cercò una mediazione tra chi era insorto e chi era considerata la causa di quella insurrezione. In quarantotto ore la Federazione riuscì a trovare la soluzione migliore: annunciò che la decisione dello slittamento in calendario era irrevocabile, ma che sarebbe entrata in vigore solo nel marzo del 1955 in modo da salvare l’edizione di inizio anno.
La Sei giorni di Gent a febbraio era salva. Anzi, raddoppiava: ce ne sarebbe stata una anche a novembre. Il pittore Louis Pevernagie, gran amante del ciclismo, che si trovava in città in quei giorni, raccontò di due giorni di festa dopo la notizia della doppia Sei giorni.
Probabilmente oggi nessuno sarebbe sceso in piazza per protestare contro il cambiamento della calendarizzazione della corsa. I tempi sono cambiati, il ciclismo su pista è diventato una nicchia di una nicchia. L’unica cosa a non essere cambiata è la Sei giorni di Gent, o meglio quello che che la Sei giorni è per Gent. E non solo perché è rimasta una delle poche a essere ancora disputate, ad aver superato indenne il passaggio dal bianco e nero al colore.
Perché quello delle Sei giorni è spesso rimasto un ciclismo a toni di grigio, che ha resistito poco e male prima all’avvento della televisione e poi al cambiamento dei costumi.
L’eccezione della Sei giorni di Gent
Spesso e in molti luoghi, ma non a Gent. E questo perché “sono poche le feste comandate importanti in un anno. Quasi tutte sono legate alla religione. Nessuna, nemmeno il Natale, può competere con le due ricorrenze laiche, ma ben più religiose delle altre, che animano la città: la Gent-Wevelgem e la Sei giorni”, sottolineò lo scrittore e giornalista Louis Pauwels in uno scritto contenuto in “Un jour je me souviendrai de tout…”.
“La fede però non può spiegare il legame tra la città e questi due avvenimenti. Soprattutto nel caso della Sei giorni. C’è qualcosa di ben più fisico a legare chi qui vive a quella settimana scarsa nella quale il velodromo diventa il centro di tutto, non solo cittadino ma pure del mondo, o almeno di quello ciclistico. È una sorta di cordone ombelicale che lega chi vive qui alla Sei giorni, un rapporto paragonabile a quello che un bimbo prova per la madre. Ricordo ancora la tristezza di quei giorni di novembre tra il 1962 e il 1965 quando un incendio ridusse in cenere il tempio”.
A Gent la Sei giorni è festa. E festa grande. Quella che è iniziata ieri al Kuipke per l’ottantesima edizione della corsa è però una festa un po’ mesta per via delle limitazioni anti-pandemia che hanno imposto il divieto di consumare birra all’interno del velodromo (nel 2010 venne stimato in 3,8 litri il consumo medio a persona a giorno di gara). Un’occasione da non perdere per il pistard belga Kenny De Ketele: “Bersi qualche pinta al velodromo è bello, ma ora le persone hanno la possibilità di scoprire che la gara è ancora più emozionante”.
La Sei giorni di Gent “è il Tour de France della pista”
In ogni caso festa, nonostante tutto. Perché la Sei giorni di Gent “è il Tour de France del ciclismo su pista, è diversa da qualsiasi altra gara. Ogni volta che gareggi in Belgio ti accorgi che la gente è più competente che altrove. Tutti capiscono subito e perfettamente cosa sta succedendo in pista”, ha detto a CyclingNews Mark Cavendish, che questa corsa l’ha vinta nel 2016 al fianco di Bradley Wiggins.

Il velocista inglese la Sei giorni di Gent la sta disputando al fianco di Iljo Keisse per la terza volta in carriera. Nel 2014 la terminarono al secondo posto, nel 2019 quarti. E per una volta non è lui la primadonna, il campione. Perché al suo fianco ha colui che è stato il più forte seigiornista degli ultimi anni, colui che Patrick Sercu, il più forte seigiornista della storia, definì “come l’ultimo grande e raffinato interprete dell’Americana e non solo dell’Americana. Colui che ha seguito l’amore per la pista nonostante l’onnipresenza della strada”.
Un amore che non poteva non nascere: “La Sei Giorni è davvero speciale per me. Tutto è iniziato lì, è vicino a casa mia, vicino al pub di mio padre. La mia famiglia e i miei amici sono tutti lì e l’appuntamento è alla fine della stagione: potrebbe esserci un posto migliore dove finire la mia carriera tra un anno?”.