Dizionario minimo per capire cos’è una Sei giorni

Dizionario minimo per capire cos’è una Sei giorni

17/11/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Cos’è una Sei giorni? Come si corre? Quali sono le discipline? L’Abc che si deve conoscere per apprezzare lo spettacolo dei velodromi


È il tempo dell’anno nel quale le biciclette non stanno male sotto un tetto, a girare su di un velodromo. Soprattutto al nord. Il grande campione degli anni Quaranta e Cinquanta, Rik Van Steenbergen lo chiamava “ciclismo da camera”, il tempo buono “per fregarsene delle bizze del medio e pensare soltanto a pedalare. Certo quando lo si faceva al Vel d’Hiv era un’altra cosa. Lì era festa vera”.

E al Vélodrome d’Hiver era davvero una festa. Ogni due o tre giorni.

Tra il 1950 e il 1958, nei mesi invernali, il Vel d’Hiv ospitava una riunione su pista dietro l’altra, anche quattro a settimana tra novembre e dicembre. E il massimo, l’evento ciclistico dell’anno a Parigi di allora (assieme alla grande conclusione del Tour de France) era la Sei giorni di Parigi. Se il velodromo parigino era quasi sempre pieno in quegli anni, durante la Sei giorni era colmo oltre ogni immaginazione, ben oltre i 17mila spettatori che la struttura poteva contenere. Tra il 7 e il 13 novembre del 1957 a vedere la sfida tra Jacques Anquetil-André Darrigade-Ferdinando Terruzzi e Luison Bobet-Georges Senfftleben-Dominique Forlini per la vittoria di quell’edizione (che si correva non a coppie ma a trii), sugli spalti sedettero in media quasi 23mila persone (dato non ufficiale, ma riportato da più fonti di allora).

Le Sei giorni sono nome proprio di arco temporale in bicicletta: una facilitazione per capire esattamente di cosa si tratta e cosa aspettarsi da essa: sei giorni di gare in un velodromo, solitamente da corrersi in un arco di sei ore al giorno e solitamente a coppie. Vince quella che fa più punti (i punteggi possono cambiare nelle varie discipline e competizioni) a parità di giri compiuti.

Di Sei giorni sino agli anni Sessanta ce ne erano tantissime e ovunque.

Un’immagine della Sei giorni di Stoccarda (19 gennaio 2008, foto Wikimedia Commons)

Negli ovali (non solo) durante le Sei giorni pedalava il massimo che il ciclismo su pista (qui c’è una piccola guida letteraria al ciclismo su pista) e su strada poteva offrire. Qualcuno ci partecipava soprattutto per gli ingaggi, parecchio alti (tanto che in un inverno un corridore di buon livello poteva mettere da parte in pratica i soldi di un’intera stagione, d’altra parte le persone volevano vedere i corridori dal vivo e i velodromi davano questa possibilità), ma poi non si tiravano indietro, davano tutto quello che avevano perché si poteva fare mica brutta figura davanti a tanti appassionati.

Oggi, anzi da anni, le Sei giorni non se la passano benissimo. Tante sono saltate e quelle che restano resistono a fatica. Eccezion fatta per quella di Gand (che è iniziata ieri) che è ancora uno dei grandi eventi, non solo ciclistici, delle Fiandre.

Dizionario minimo delle (gare delle) Sei giorni

• Americana

Questa disciplina se la sono inventati gli americani, o meglio i newyorkesi al Madison Square Garden. La chiamavano Madison, ora va per la maggiore Americana, ma tant’è. Se la sono inventati per una Sei Giorni e si sono accorti di aver messo in pista la disciplina perfetta per una Sei Giorni. Anche perché non si può correre che in coppia. Ciascuna squadra schiera in gara un ciclista che può dare in ogni momento il cambio col compagno lanciandolo all’americana, ossia afferrandolo per una mano per dargli la spinta. Durante la prova si svolgono diverse volate di gruppo, assegnando punteggi ai primi 4 (5-3-2-1 punti). Vince chi totalizza il maggior punteggio complessivo a parità giri.

• Corsa a punti

La gara dura 100 giri per gli uomini (o 25 chilometri) e 80 giri (o 20 chilometri) per le donne. Ogni 10 giri si fa uno sprint che assegna 5 punti al 1°, 3 al 2°, 2 al 3° e 1 al 4°, mentre lo sprint finale vale punti doppi. Riuscire a guadagnare un giro vale 20 punti ed essere doppiato costa 20 punti di penalità.

• Corsa a tempo

Può essere corsa a squadre o individualmente. Cambia solo la distanza. Vince chi ci mette meno a coprire una distanza di tre giri di pista (o 500 metri) per quanto riguarda le coppie, o un giro di pista nell’individuale. Solitamente, ma non sempre, la partenza è lanciata: tre giri di pista per prendere velocità e poi altri tre cronometrati. Durante la prova a squadre i compagni di squadra gareggiano in una sorta di staffetta: i primi due giri tira come un dannato il compagno meno veloce che lancia con cambio all’americana quello più veloce per l’ultimo giro.

• Eliminazione

Prova di gruppo in cui ogni due giri viene eliminato il corridore (o la coppia di corridori) la cui ruota posteriore passa per ultima il traguardo. Tutto questo fino a quando rimangono in pista gli ultimi due corridori che si giocano il bottino di punti sprintando.

• Derny

C’è una motoretta (che si chiama Derny, da cui il nome alla disciplina) e c’è una bici. E c’è una fiducia totale tra motociclista (molte volte, anzi quasi sempre, l’allenatore) e ciclista. Perché la motoretta deve solo tagliare l’aria e rispettare al millimetro le indicazioni del corridore. Il corridore decide se accelerare o decelerare e quando; che parte di pista utilizzare. “Nel Derny sai mai cosa può accadere. Esistono molti corridori non da Derny. E questo perché questa disciplina è fatta per gente scaltra, furba, soprattutto sincera. Puoi fingere ovunque, ma non dietro a un Derny. Se lo fai rischi pure l’osso del collo”. Parola di Patrick Sercu, il seigiornista più forte di sempre.

• Scratch

È la gara che forse assomiglia di più a una corsa in linea. E come una corsa in linea va affrontata. In gruppo si coprono per gli uomini 40 giri (o 10 chilometri), per le donne 30 (o 7,5 chilometri) per fare una gran volata alla fine. I punti sono assegnati in base al piazzamento. Lo Scratch era solitamente la disciplina che apriva molte sei giorni negli anni Sessanta: era veloce, non troppo spettacolare e permetteva di riscaldare corridori e pubblico.

• Supersprint

È una disciplina recente, un miscuglio tra corsa a eliminazione e scratch. Al via c’è un ciclista per ogni squadra che prima deve salvarsi da tre round di eliminazione (di tre giri ciascuno) e poi affrontare 12 tornate al termine delle quali ci sarà uno sprint finale che assegnerà i punti della disciplina.

• Velocità individuale

Per Roland Barthes era la disciplina che più si avvicinava all’arte, perché formata da forza, velocità ed equilibrismo, “l’unica nella quale serve anche la maestria dell’intuizione”. Tre giri di pista, due uomini, vince chi arriva primo al traguardo. Il sorteggio impone a uno dei due di prendere la testa della corsa. E affrontare lo sprint in testa molto spesso significa perdere. Per questo si procede ad andatura ridotta, almeno sino all’ultima o alla penultima curva. Qualcuno rallenta a tal punto da fermarsi e rimane in equilibrio sulla bicicletta, il surplace. Un tempo questo poteva essere infinito (a patto di riuscirci), a sfinimento dell’avversario, ora ne sono consentiti due di al massimo 30 secondi. La bellezza dell’equilibrio ha lasciato spazio alla velocità bruta. Il nome italiano, usato ovunque sino agli anni Ottanta, all’inglese Sprint.

• Velocità a squadre

Tre giri di pista (due per le donne), tre corridori per ogni squadra (ovunque ma non nelle Sei giorni visto che si corre a coppia – per le donne invece ci sono sempre due corridore). Vince chi ci mette meno tempo. I primi due ciclisti tirano ciascuno per un giro prima di spostarsi, e lanciare il terzo nella volata finale.