Coppi e Bartali e l’internazionalismo ciclistico

Coppi e Bartali e l’internazionalismo ciclistico

20/03/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Gli anni Ottanta erano anni di enorme internazionalismo ciclistico. Tipo che se una corsa era nazionale non andava più bene. Doveva essere per forza internazionale, che se non era internazionale, nel nome, era da poveracci. E nessuno negli anni Ottanta voleva fare la figura del poveraccio. Ed ecco che le corse cambiavano nome e da un momento all’altro diventavano internazionali per nomenclatura. Il Critérium National de la Route era una bella corsa, di quelle provanti e combattute: si correva nella regione francese Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Dal 1932 al 1978 era riservato solo ai corridori francesi, dal 1979 solo a squadre francesi. Poi arrivarono gli anni Ottanta e si aprì a tutti. A tal punto che nel 1981 divenne Critérium International. Era un successo prima, fu un enorme successo dopo: tanto, ma tanto, del meglio del ciclismo internazionale si sfidava per tre giorni tra la Costa Azzurra e le Alpi Marittime. Poteva l’Italia essere da meno? Nemmeno a pensarci. In Italia si inventarono, nel 1984 la Settimana Ciclistica Internazionale. Durava cinque giorni, che se c’era da competere coi francesi meglio fare qualche giorno in più, e si correva in Sicilia. Fu un grande successo, poi incontrò la crisi, rischiò di sparire. Provò a rilanciarsi trasformandosi in Memorial Cecchi Gori nel 1999 e nel 2000. Trovò una sua nuova dimensione trasformandosi in Settimana internazionale Coppi e Bartali a partire dal 2001. Perché mancava una corsa dedicata a Fausto Coppi e Gino Bartali. Perché una corsa dedicata a Coppi e Bartali non può scomparire.

Già nel 1994 volevano intitolare una corsa a Gino Bartali. Doveva corrersi attorno a Firenze, vagare un po’ per il Chianti, passare per Ponte a Ema e poi salire e discendere per Fiesole almeno un paio di volte. Circa centonovanta chilometri e oltre tremila metri di dislivello. Se ne fece niente, anche perché Gino Bartali trovò un po’ di cattivo gusto l’idea: “Fatemi morire prima!”, pare disse Ginettaccio. In ogni caso il progetto non andò in porto a causa del dietrofront dei due sponsor principali che dovevano permettere alla corsa di vedere la luce.

Fausto Coppi invece oltre che essere la cima più alta del Giro d’Italia, l’avevano inserito come suppellettile nella nomenclatura della Coppa Contessa Carnevale, che era corsa che tra il 1935 e il 1939 fu ambita, perché di ricco montepremi, poi si perse con la guerra (nonostante l’ultimo vincitore fosse proprio Fausto Coppi) e venne ritirata fuori, chissà per quale scherzo dell’esistenza, nel 1997. Fino al 2010 fu corsa (anche) elite, poi è diventata gara Junior.

C’è stato niente di più internazionale di Coppi e Bartali in Italia. E pure ora si difendono alla grande, nonostante i loro nomi e cognomi abbiano già superato il secolo e i loro duelli gli ottant’anni. E non solo in Italia. In un sondaggio del 2013 commissionato dall’Equipe (su base europea per il centesimo anniversario del Tour de France) Fausto Coppi era il secondo ciclista più conosciuto dietro a Eddy Merckx e Gino Bartali l’ottavo (e terzo italiano: Marco Pantani era al quinto posto).

Coppi e Bartali sono un biglietto da visita, sono coppiebartali, un distico – l’aveva capito anche Totò – che è unità che vive ancora lontano da Castellania e Ponte a Ema, vive tra Emilia e Romagna, in terra neutra perché non patrimoni locali, ma nazionali. Anzi, internazionali: come la Settimana internazionale Coppi e Bartali. Che quell’internazionale lo porta ancora con una certa fierezza perché in fondo è vero che non se ne esce dagli anni Ottanta.