
L’anticipo di Samuele Rivi
08/03/2021 1 Di Giovanni BattistuzziTre corse fatte, due fughe centrate, l’ultima alle Strade Bianche. Il corridore della Eolo-Kometa e le “sante” anime in fuga
“Se non sei all’altezza dei migliori negli ultimi chilometri hai un’unica possibilità: anticipare”. Regola semplice, lineare. Dalmacio Langarica la ripeteva spesso ai suoi atleti, forse sempre. A ogni inizio di stagione, a ogni partenza di gara, molte volte anche dall’ammiraglia. D’altra parte il ciclismo “è uno sport di conoscenza. Devi conoscere te stesso e i tuoi limiti per correre in bicicletta. Il resto è pedalare. Chi pedala più forte vince, o almeno così dovrebbe essere. Non è così quando uno pedala meglio, quando supplisce la classe con la furbizia. Non siamo i più forti? Intanto ci devono rincorrere, poi vediamo”.
L’epopea dei gialli volanti, degli spagnoli della Kas all’arrembaggio nacque nei primi anni Sessanta per intuizione del direttore sportivo della squadra iberica. “Anticipare è la regola, anticipare non è mai un errore, soprattutto per un giovane: se va bene è impresa e rivolta, se va male un modo per annusare l’aria della testa del gruppo, magari si abitua”.
Samuele Rivi è al debutto tra i professionisti in maglia Eolo-Kometa, dopo due anni alla Tirol KTM buoni per mettere il naso tra i grandi e capire che tra loro ci poteva stare. Samuele Rivi ha deciso in questa stagione, probabilmente inconsapevolmente, di aderire alla visione del ciclismo dello storico ds della Kas, Dalmacio Langarica. Ha iniziato ad anticipare.
Aveva iniziato ancor prima di approdare nel professionismo, in maglia azzurra alla Milano-Torino. Lo ha fatto alla Clàssica Comunitat Valenciana, ma in privato, solo per il suo capitano Luca Pacioni: frangivento ed evitapericoli. Uno deve iniziare a capire come si muove il gruppo per anticiparlo. Lo ha fatto in piccolo alla Clasica de Almeria, ma in piccolo, qualche decina di chilometri di fuga di rimando, seconda occasione d’avanguardia. Lo ha fatto in grande alla Strade Bianche. Una settantina di chilometri a tracciare il passo sugli sterrati che rigano le crete senesi, polvere presa prima di tutti, minuti avanti a chi da lì a poco avrebbe deciso di decidere le sorti di tutti gli altri.
L’ultima immagine di Samuele Rivi è lui sul limite destro di uno sterrato che trascina a piedi la bici. Cambio rotto, tanti saluti alla fuga e a tutto il resto.
Anticipare per tattica, per ragionamento, per necessità e chissà, magari un giorno, per piacere. La bici come fuga, come scoperta, come arrembaggio. Il ciclismo è sport di inseguimento. Qualcuno scappa, gli altri inseguono. E poco importa se chi scappa troppo presto si logora e vince quasi mai. Non di soli ordini d’arrivo è fatto questo sport. Le anime in fuga non si scordano, trovano un posto nei ricordi, rimangono nella memoria anche se non salgono sul podio. Sono gli anarchici che scombussolano il gruppo, i sognatori che sperano che l’impossibile non sia davvero così impossibile, i fedeli che credono che la Divina Provvidenza qualche volta possa arrivare.
Samuele Rivi è un ragazzo pratico, che sa cosa vuole e cosa non è: “Non sono mai stato un vincente finora. Anche se ne ho le capacità, non ho mai vinto tanto. Non sono il corridore che ottiene dieci vittorie a stagione, quindi sarà importante trovare un ruolo, il mio posto nel mondo del professionismo. Ma questo si vedrà solo con il tempo”, ha detto a spaziociclismo. E ha aggiunto: “Alla mia età c’è gente che ha già vinto il Tour, quindi non sono così giovane. Però è chiaro che la squadra ha bisogno di risultati concreti, magari dare supporto in pianura o attaccare in qualche tappa potrebbe non essere abbastanza per soddisfare gli obiettivi. Non penso che sia alla mia portata quest’anno, ma si vedrà”.
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