La Strade Bianche è un viaggio primitivo

La Strade Bianche è un viaggio primitivo

04/03/2022 0 Di Giovanni Battistuzzi

C’è niente di più antico dello sterrato, della terra, della ghiaia e della polvere. La Strade Bianche è un’interpretazione del ciclismo che se non ci fosse stato Giancarlo Brocci non ci sarebbe


C’è niente di più pionieristico di una strada bianca. Un ritorno indietro nel tempo, a momenti che al massimo sono arrivati a noi in qualche foto sfocata e quasi mai in movimento. Ben più semplice era ritrarre le biciclette ferme, al fianco di corridori più o meno baffuti e più o meno dalla gambe enormi.

C’è niente di più primitivo di una strada bianca. Viene prima di tutto la ghiaia e la terra, c’è nulla di più antico. Il pavé è arrivato dopo, anche se ci sembra che sia arrivato prima. È da una vita che lassù al Nord le ruote delle biciclette da corsa incrociano le pietre. Mica come tra le Crete senesi.

Cosa sono una quindicina d’anni rispetto a un secolo? Poco e niente. Eppure il pavé è un dono della cosiddetta civiltà, lo sterrato pure, ma in modo più semplice, più immediato.

Forse per questo che le pietre ti si attaccano addosso solo se ci finisci disteso, mentre le strade bianche ti si attaccano addosso pure se resti in piedi.

La Strade Bianche è immanente e invadente, la corri e te la ritrovi tutt’attorno e se non la corri la vedi, anche da lontano. Basta salire su una delle centinaia e centinaia di collinette che sonnecchiano attorno a Siena e alzare gli occhi al cielo. Basta seguire la polvere. È a lei che i corridori si rivolgono. Chiedi alla polvere, è lei che decide, da lei che escono i purosangue che a piazza del Campo cercano il loro Palio. Non erano cavalli d’acciaio le biciclette? Per un giorno lo sono ancora.

La Strade Bianche doveva essere la versione veloce de L’Eroica. Poi ha preso la sua strada. Una strada diversa da quella che il suo ideatore, Giancarlo Brocci, avrebbe voluto per lei. Questione di nome, quello che ha registrato Rcs, separandola per sempre dalle origini. E senza neppure una stretta di mano.

Una storia che era iniziata a Gaiole in Chianti il 9 ottobre del 2007 e che da allora ha conquistato più o meno tutti a tal punto da far pensare a qualcuno che sia già pronta a essere Monumento del ciclismo. Classica lo è già, ma sono anni accelerati e a continuare a incrementare la velocità si rischia di perdere il senso dello spazio, del tempo e soprattutto della distanza.

Al di là dei sondaggi tra i corridori, è nella voce dei corridori che si capisce che è cosa da Nord la Strade Bianche, ma non solo cosa da Nord. Perché porta con sé l’inclusività delle corse del sud, se si prende come baricentro ciclistico le Fiandre.

Le pietre sono una scuola. Lo sterro un’interpretazione.

E va a finire che a volte serve neppure fare i compiti a casa, basta sentirsi parte di un piccolo mondo antico che sopravvive alla dittatura dell’asfalto, di un altrove che ormai provano a ficcare in ogni dove. Senza riuscirci. Perché ci vuole sentimento a tenerle bianche le strade, a plasmarle pian piano, pedalata dopo pedalata. La polvere ti si attacca addosso, confonde, leviga. Serve attenzione per capire cosa c’è sotto. E sotto, in fondo in fondo, all’inizio di tutto, c’è chi questa dimensione polverosa l’ha amata da sempre e riportata nel ciclismo, Giancarlo Brocci.

E c’è chi alla polvere non sa resistere, chi nella polvere e nel fango ha iniziato e non vuole rinunciarvi. Perché spesso è nella scomodità agreste che si ritrova il perché di quell’innamoramento che ci ha portati in sella. È una dichiarazione d’amore la polvere. Richiama donne e uomini di scatti e passione in luoghi nei quali gli sterrati non sono un intralcio, ma una necessità.

E se questa necessità non la si sente è meglio lasciar perdere. Si rischia solo di far brutta figura.