
Tokyo 2020. La lunga e strana via del circuito del Fuji
28/07/2021Gli anni Sessanta in Giappone erano uno strano miscuglio tra tentativi oltranzisti di salvaguardia della tradizione e infatuazioni di miti americani. L’esaltazione per le mode d’Oltrepacifico arrivarono pure ai piedi di uno dei monti sacri, il Fuji. Fu lì che Masanori Shijakho decise di costruire un grande ovale d’asfalto per far correre quei macchinoni super veloci che entusiasmavano gli statunitensi da oltre un decennio e che avevano iniziato ad appassionare i giapponesi da poco più di un lustro. La Nascar doveva avere un suo palcoscenico e il migliore possibile non poteva che essere sotto la cima del monte Fuji.
Shijakho fece però male i conti. I lavori si rivelarono più costosi di quelli preventivati, i fondi che dovevano arrivare non arrivarono perché la passione per la Nascar evaporò. E così quel grande ovale di asfalto con i due curvoni parabolici a trenta gradi non venne mai finito. Ne fu costruito solo uno. Il resto rimase incompiuto per un anno, prima che la Mitsubishi decidesse di rilevare la società che nel frattempo era fallita e realizzare un circuito diverso.
I lavori furono affidati a Hiroshi Musua, un architetto e ingegnere al quale delle auto non fregava niente, che passava il tempo libero a pedalare per le strade della prefettura di Shizuoka e che aveva il grande sogno di realizzare il velodromo più grande del mondo. Non ci riuscì mai. In compenso permise alle automobili di sfidarsi sul Fuji International Speedway.
Chissà cosa avrebbe pensato nel vedere le biciclette invadere l’asfalto del circuito che suo malgrado fu chiamato a realizzare. E chissà cosa avrebbe pensato nel vedere oggi un suo quasi conterraneo conquistare l’oro olimpico della cronometro individuale. Perché Hiroshi Musua negli anni Settanta finì a Lubiana alla ricerca del sogno socialista, dopo che quello russo gli si era ristretto a tal punto da farlo scappare da Mosca.
In Slovenia trovò la redenzione, mise nero su bianco il progetto tanto agognato, quello di un velodromo che si sarebbe dovuto costruire di lì a qualche anno. I primi scricchiolii del regime misero in pausa il progetto che non si realizzò mai.
Le pedalate di Primoz Roglic hanno fatto il viaggio opposto, sono partite dalla Slovenia, si sono tinte d’oro sotto il Monte Fuji, sul rettifilo d’arrivo del Fuji International Speedway al termine di una prova strabiliante, capace di lasciare tutti i suoi rivali a oltre un minuto. Una redenzione anch’essa. Quella di un corridore che avrebbe voluto contendere il Tour de France al suo connazionale Tadej Pogacar, ma che ha grattugiato sull’asfalto le sue aspirazioni.
Roglic sapeva che questo poteva essere uno degli ultimi anni buoni per conquistare la Grande Boucle. Ci riproverà, intanto si gode questa “gioia voluta e inaspettata”.
Le vie che portano al Fuji sono sempre strane, a volte “tanto lunghe da sembrare infinite”. Ne era convinto Shozaburo Shimano, il fondatore dell’azienda di componenti per la bicicletta che era nata con lo scopo di “agevolare nel miglior modo possibile i ciclisti per poter permettere loro di arrivare ovunque”.
La stessa redenzione che ha trovato Tom Dumoulin, che c’ha impiegato sessantun secondi in più dello sloveno a coprire i 44 chilometri e duecento metri del tracciato, ma si è messo al collo la medaglia d’argento sul podio di Tokyo 2020. Poteva non esserci.

A gennaio aveva annunciato la decisione di prendersi una pausa dal ciclismo per liberarsi da quello “zaino di cento chili” che si sentiva sulle spalle. La bicicletta non è riuscita ad abbandonarla. Ha pedalato da solo, si è ricaricato l’animo, ha ritrovato il piacere del pedalare. È tornato ed è tornato alla grande. Ha preceduto il due volte campione del mondo della specialità Rohan Dennis e lo svizzero Stefan Küng, finito a soli quattro decimi dal podio.
Due secondi di troppo invece ci ha impiegato Filippo Ganna: quinto al termine di una prova con qualche chilometro di salita di troppo per lui, ma tant’è. Questo i Giochi offrivano. Ganna ora guarderà altrove, chiuderà i suoi sogni olimpici in un ovale, dentro le mura di quel velodromo che Musua non riuscì mai a costruire e che Ganna vorrebbe fare suo.