
Il pavé del Tour de France è un mondo a parte (e senza Roubaix)
06/07/2022Roubaix è lontana, solo sfiorata, al di là della partenza. Eppure a dir pavé è lì che la mente finisce. E a quel tempo primaverile, certo un po’ diverso da quello che in Italia associamo al termine primaverile, che si sa mai cosa riserverà, anche se poi due e solo due sono i casi: se è bagnato è fango, spesso pesante, se è asciutto polverone, che è sempre fango, ma ballerino e volante, aeriforme.
Il pavé è un richiamo a un luogo e a un tempo ben precisi. Un luogo e un tempo che hanno i suoi santuari, i suoi interpreti, i suoi protagonisti e i suoi che non sempre sono stati anche gli interpreti, i protagonisti e i campioni del macroinsieme chiamato ciclismo. Ci si può fare niente, è un richiamo naturale, irresistibile, parecchio istintivo, al quale non si riesce a resistere, figurarsi affrontarlo con il necessario distacco come sarebbe opportuno farlo. Ce la si fa mai, ché il pavé ti sale dentro e ti offusca tutto e non c’è analisi, razionalità e logica che tenga, perché non c’è spazio sulle pietre per razionalità e logica, quale persona razionale, davvero razionale, deciderebbe di correre con una bicicletta con ventotto/trenta millimetri di larghezza di pneumatico su dei blocchi di pietra che hanno centimetri di stacco l’una dall’altra, in mezzo a una campagna che non porta da nessuna parte?
Tocca però, a volte – ma perché poi? sarebbe stupendo farne a meno –, farne conto e incanalare la mente sul reale e non sul ricordo, tralasciare il richiamo alla dolcezza dell’immaginario e fare i conti con quello che c’è e non con quello che si vorrebbe che ci fosse, perché quello che c’è non è quello che si vorrebbe che ci fosse. E quello che c’è al Tour de France, nella quinta tappa, è ben diverso da quello che la mente ci fa apparire. Roubaix non c’è, ci sono le pietre, certamente, ma non Roubaix e, soprattutto la Roubaix, e la Foresta di Arenberg non è davvero la porta dell’inferno, non è l’inizio di nulla, ma l’approdo di qualcosa. E questo qualcosa ha a che fare con la Parigi-Roubaix (ricordate quella vinta da van Baarle?) solo per la presenza delle pietre, che sono sì pietre e pure scomode, ma non come e soprattutto non quanto quelle che amiamo di primavera, che riempiono le domeniche pasquali o prepasquali o postpasquali a seconda degli anni, che la Pasqua è come la Roubaix, ballerina, si sa mai davvero quando cade e come sarà, anche se ci sono gli elementi per saperlo.

Nella Lilla-Arenberg/Porte du Hainaut il pavé c’è, e pure abbastanza: 19,4 chilometri di pietre suddivisi in 11 settori. E anche duro. Perché da Erre a Wandignies-Hamage, duemilaottocento metri a meno di una trentina di chilometri dall’arrivo, si balla parecchio. E pure tra Tilloy-Lez-Marchiennes a Sars-et-Rosières, duemilaquattrocento metri, a meno di una ventina di chilometri da Arenberg, le pietre sono toste e cattive. Di chilometri ce ne sono cento in meno rispetto alla Parigi-Roubaix, quelli sul pavé sono ben meno della metà e non si corre per una botta e via, ma ci sono altre due settimane abbondanti di corsa e una classifica generale che pesa più, almeno per qualcuno, di una vittoria di tappa, seppur magnifica e intrigante come quella da conquistare alle porte dell’Inferno.
Razionalità e logica spingono all’analisi. E le analisi possono essere molto diverse: “Chi viene alla Parigi-Roubaix sa come si correre sulle pietre, ma al Tour è pieno di corridori che non hanno la tecnica giusta e che sono troppo leggeri. Si può dibattere, ma fino a questo momento è stato un grande spettacolo. È quello che vogliono; è come pedalare su un ponte senza protezioni: se cadi, muori…”, ha detto Philippe Gilbert a LaVoixduNord, sottolineando come ci sia il grande rischio che alcuni uomini di classifica possano pagare dazio e come il pavé sia un pericolo.
Ben diverso era il giudizio di Laurent Fignon. “Se inseriscono il pavé al Tour de France pedaliamo il pavé al Tour de France. Possiamo fare altrimenti? Ho sentito però un po’ troppe reazioni catastrofiste. Il pavé al Tour de France non è il pavé della Roubaix, ci può essere qualche settore, ma non è alla Roubaix perché la Roubaix è una seconda corsa, sulle pietre, dopo una corsa, sull’asfalto. Al Tour è tutto molto più diluito e anche chi non si sognerebbe mai di fare una Roubaix può benissimo sognare di far bene in una tappa sulle pietre al Tour. Sono due mondi diversi, simili ma differenti. Poi a fasciarsi la testa prima di sbatterla lo si può sempre fare, come trovare scuse”.
Il percorso della 5a tappa del Tour de France

Tutti i settori in pavé della 5a tappa del Tour de France
