Tour de France. La prima volta di Magnus Cort

Tour de France. La prima volta di Magnus Cort

04/07/2022 0 Di Giovanni Battistuzzi

L’isola di Bornholm se la ricorda mai nessuno in Danimarca. Sta alla fine di tutto, come le cose belle e un po’ particolari, di quelle che non saltano subito alla memoria. “Ah sì, c’è l’isola di Bornholm”. Se ne esce così Edvard Sthlom, danese di Skive, che un tempo fu professore di storia a Viborg, ma da una decina d’anni insegna tedesco e inglese a Roma, “perché il danese lo si parla sì, ma siamo quattro gatti e quindi non è che ci sia tanto da fare i nazionalisti linguistici. Si impara tutto il resto”.

Viene mai in mente subito l’isola di Bornholm, e sì che è un gran bel posto, ma che sembra poco Danimarca, più che altro un altrove, ché “sono mica danesi danesi quelli dell’isola di Bornholm, sono dell’isola di Bornholm, quasi mediterranei”. Come si possa definire mediterranei gli abitanti di un isola in mezzo al mar Baltico è difficile da poter immaginare, “massì ci crescono i fichi e c’hanno pure una sorta di prosciutto da mangiare con i fichi. E poi ci fanno il vino, che non è neppure male. Insomma sono i più mediterranei di tutta la Danimarca”, dice Edvard.


Foto Wikimedia commons

È parecchio graziosa l’isola di Bornholm, che verrebbe pure voglia di restarci se ci si avventura sino a lassù e non si disdegna la vita ritirata. Anche perché è mica male fare il bagno nel Baltico (sì, si può fare ed è pure piacevole).

Non basta tutto questo a far ricordare l’esistenza dell’isola di Bornholm, altrimenti nessuno direbbe “ah sì, c’è l’isola di Bornholm”, come a dire che non ci si ricorda mai dell’isola di Bornholm perché non è poi così Danimarca come tutto il resto della Danimarca.

Per fare il giro dell’isola di Bornholm si devono pedalare un centinaio abbondante di chilometri e superare più o meno sei/settecento metri di dislivello: si superano i centodieci metri sul livello del mare e c’è pure uno strappo che supera il dieci per cento, di poco e per pochi metri e lo supera.

Nella terza tappa del Tour de France, Magnus Cort ha percorso più chilometri in fuga di quelli che servono per fare il periplo dell’isola di Bornholm: centoventinove. Che sommati a quelli della seconda tappa, centotrentanove, fanno duecentosessantotto, cioè il 69,8 per cento dei chilometri totali percorsi (trecentottantaquattro) dai corridori in questa escursione danese della Grande Boucle, esclusa la cronometro iniziale.


Foto ASO/Charly Lopez

Ci teneva Magnus Cort a far bene in questo fine settimana lungo in Danimarca. E dato che di vincere c’era neppure la speranza con quel manipolo di velocisti che ci sono in giro – e mica è fermo fermo in volata Magnus Cort –, ha scelto la miglior via tra chi applica il realismo alle proprie velleità: andare in fuga e cercare di prendere l’unica maglia contendibile, ossia quella degli scalatori, quella a pois. Che è anche quella che piace a tutti e che tutti riconoscono perché è difficile non riconoscere una maglia bianca coi pallini rossi.

Magnus Cort ci teneva perché è danese ed è sempre cosa buona e giusta fare gli onori di casa quando a bordo strada c’è più gente che in cabina elettorale in mezza Europa. E dev’essere una gran soddisfazione pedalare da solo sulla Côte de Genner Strand e immaginarsi di essere avanti a tutti sull’Alpe d’Huez: il numero di persone e il tifo era lo stesso, la salita no, ma tant’è c’è mica da fare gli schizzinosi.


Tour de France 2022 – Etape 3 – foto ASO/Charly Lopez

Magnus Cort s’è fatto due giorni da avventuriero e padrone di casa e a nessuno è mai venuto in mente di dire “ah c’è anche Magnus Cort”, che il corridore della EF se lo ricordano bene tutti, nonostante sia nato nell’isola di Bornholm.

L’avrebbe mai pensato nessuno, almeno in Danimarca, almeno prima che Magnus Cort fosse passato professionista, che a fare gli onori di casa, anzi l’avanguardista a casa, sarebbe stato uno dell’isola di Bornhol, che quelli sono sì danesi, ma non proprio danesi danesi, c’hanno pure il vino, e lo producono pure. Il ciclismo avvicina e spariglia, rende reali cose che si pensavano improbabili.

Magnus Cort non ha vinto – c’hanno pensato Yves Lampaert, Fabio Jakobsen e Dylan Groenewegen – ma non se ne è accorto nessuno. Ha scorrazzato per il paese, il suo paese, portandosi appresso tutto l’orgoglio, suo e non solo suo, di vedere il Tour de France scorrazzare per le strade di Danimarca.

C’era mai riuscito nessuno dell’isola di Bornholm a essere l’uomo più invidiato e amato di Danimarca. Magnus Cort ha pedalato questa prima volta.