
Tour de France Femmes. La solitudine di Marlen Reusser
27/07/2022Marlen Reusser dice che va forte a cronometro perché non deve preoccuparsi delle altre. E mica per indifferenza nei confronti del prossimo, che a una come lei interessa pure parecchio, perché altrimenti non si studia medicina e non si pensa di fare il medico quando il ciclismo professionista sarà il passato. Perché altrimenti non si insiste per convincere tutti che il ciclismo femminile per diventare una realtà di successo ha bisogno delle dirette tv – e lo si è visto questa primavera al Nord, al The Women’s Tour, al Giro d’Italia e ora al Tour de France Femmes, ora che il Tour ha deciso, finalmente, di rendere grande pure il ciclismo femminile. Marlen Reusser preferisce le cronometro perché ha da occuparsi solo del suo passo, può pedalare come meglio crede, al suo ritmo, che è parecchio veloce, difficoltoso per tante, quasi tutte, e, soprattutto, non deve fare i conti con il comportamento delle altre, i cambi di ritmo, gli scatti, cose così.
Marlen Reusser ha trent’anni, quasi trentuno, pedala più o meno dal 2017, o giù di lì, e solo perché ha una malformazione alle caviglie, che altrimenti c’avrebbe mica pensato a mettersi a pedalare, “avrei corso comunque, probabilmente avrei corso, ma a piedi”. Quando si è messa in bicicletta ha iniziato da sola e quando incontrava qualcuno, quel qualcuno faceva fatica a starle dietro. Pedalava da sola e le piaceva. A tal punto che ogni volta che riesce cerca di stare da sola il più possibile, ma in testa al gruppo, lontana dal gruppo, che fatichino loro a riprenderla.
Come oggi al Tour de France Femmes, nella tappa dello sterrato, un sterrato parecchio polveroso e parecchio sconnesso, che con certi sassi e certa polvere, le cicliste se lo ricorderanno a lungo. È partita sul piano, prima dell’ultimo settore di sterrato, perché c’era un momento un po’ di stanca, perché ad aspettare le côte voleva dire essere in balia ai cambi di ritmo altrui e a lei i cambi di ritmo altrui non piacciono per niente. Meglio sola, molto meglio sola.

È rimasta sola per sua volontà a ventitré chilometri dall’arrivo. S’è alzata sui pedali e via, a seguire il suo ritmo, che quella era la cosa che voleva, anche perché di tappe a cronometro in Francia nemmeno l’ombra e una deve costruirsi piccole cronometro personali per campare tranquilla.
L’hanno inseguita, ma nemmeno troppo, poi si sono guardate tra loro e non l’hanno più vista.
Verso Bar-Sur-Aube, tra gli chemin blanc, che poi altro non sono che gli sterri à la francese, è successo un bel macello, che poteva sconvolgere il Tour de France Femmes. Forature, difficoltà, cadute, con Mavi Garcia grande protagonista: ha forato, due volte, è caduta, urtando con la ruota posteriore il muso dell’ammiraglia, ha procurato un caduta di una rivale, che aveva provato a passare dove non c’era spazio per passare.
Il Tour de France Femmes però non ne è uscito sconvolto. Perché ciò che gli chemin blanc hanno diviso, l’asfalto ha ricompattato. Con gran sollievo di Annemiek van Vleuten, che nonostante una forma che non sembra strepitosa, sicuramente non strabordante, nonostante i rischi di salutare i sogni di successo di oggi, è ancora lì, a un minuto e quattordici dalla maglia gialla Marianne Vos, a un minuto da Silvia Persico e Katarzyna Niewiadoma, a una cinquantina di secondi da Elisa Longo Borghini, a una ventina da Ashleigh Moolman e Demi Vollering (e mezzo minuto avanti a Cecilie Uttrup Ludwig, ma qui conta parecchio la sfortuna). E si sa mai quando si ha a che fare con una campionessa come Annemiek van Vleuten, una capace di inventarsi, per classe ed esperienza, qualsiasi cosa, pure ribaltare ciò che sembra certo.