
La scoperta della solitudine
25/02/2021All’UAE Tour Mathias Frank per la prima volta in quattordici anni di ciclismo si è trovato da solo in fuga in una corsa
Roggliswil è un borgo di circa 700 anime perso in quel triangolo collinare della Svizzera tra Lucerna, Berna e Basilea. Non lo conosceva nessuno Roggiliswil, poi assunse un minimo di notorietà nei primi anni Duemila grazie a uno studio fatto dal ministero del Lavoro nel quale emergeva che era il paese con il minor tasso di disoccupazione: 0,37 per cento. Due disoccupati soltanto: un signore che viveva di rendita grazie a una ventina di appartamenti a Basilea, una signora che percepiva un assegno mensile milionario girato dall’ex marito dopo aver divorziato.
Dal 2010 Roggliswil è diventato anche “il paese d’origine di Mathias Frank”. Mathias Frank nel 2010 era al secondo anno da professionista quando nel suo paese iniziarono ad accorgersi davvero di lui. Al Giro di Svizzera conquistò la classifica dei gran premi della montagna, si avventurò in diverse fughe, dimostrò di andare forte in salita, di non risentire troppo del chilometraggio. L’anno successivo anche di difendersi abbastanza bene a cronometro. Qualcuno iniziò a sperare che potesse essere un buon protagonista nelle corse a tappe, magari non all’altezza di Tony Rominger o Alex Zülle, gli ultimi due svizzeri capaci di salire sul podio di un grande giro, però quantomeno meritevole di qualche speranza.
Non andò come gli svizzeri speravano. Poco male. Perché Mathias Frank dal 2008 a oggi ha continuato a correre, qualche soddisfazione se l’è tolta (una tappa alla Vuelta del 2016), si è trasformato in uno dei più affidabili gregari del gruppo, ha soprattutto girato il mondo in bicicletta come voleva fare: “Scoprire la vastità che abbiamo attorno pedalando è una cosa meravigliosa. Penso che la curiosità sia uno dei motivi che mi ha spinto in sella e quello che mi fa andare avanti ancora”, disse in un’intervista alla tv svizzera (non quella di Aldo, Giovanni e Giacomo, peccato).
A 34 anni Mathias Frank continua a correre, si dice contentissimo di farlo. Ogni tanto si stupisce ancora. Come oggi durante la quinta tappa dell’UAE Tour 2021, quando si è trovato solo davanti al gruppo a oltre un centinaio di chilometri dall’arrivo. Non gli era mai successo di pedalare senza nessuno affianco minuti avanti al gruppo in quattordici anni di professionismo.
Quando vinse alla Vuelta riuscì a staccarsi di dosso Leopold König e Dario Cataldo solo a un paio di chilometri dallo striscione d’arrivo. Quasi non se ne accorse della solitudine. Un po’ per il pubblico, un po’ per l’adrenalina da vittoria, soprattutto per inabitudine alla vittoria. “Sono confuso”, disse alla giornalista spagnola che lo intervistò qualche mezz’ora dopo la conclusione della tappa.
Mathias Frank ha trovato la solitudine in mezzo al deserto e si è stupito, quasi si è illuminato per l’emozione.
Dev’essere tipico delle sue zone d’origine. Franz Breuminnen era nato a Laghental, poche decine di chilometri da Roggliswil. Da Laghental scappò a nemmeno quindici anni per Basilea. Troppo tranquillo quel paesone per uno che amava la baldoria, le donne e i revolver. A Basilea si specializzò prima in contrabbando, poi in rapine ai portavalori. Tutta la sua banda venne arrestata, lui riuscì a scappare prima in Germania, poi a Strasburgo, infine a Marsiglia. Continuò a rapinare, andare a donne e fare baldoria, facendosi apprezzare da ogni ambiente malavitoso per le sue qualità e la sua simpatia. Con alcuni marsigliesi poi prese a seguire su e giù la via di Tunisi per qualche impiccio non meglio specificato: il post indipendenza sapeva offrire grandi affari, si diceva. Fu nei primi anni Settanta che Breuminnen si perse in Tunisia. Vagò per giorni in una zona semidesertica prima di trovare qualcuno che lo riaccompagnasse al porto di Sfax. Sul suo motoscafo fece salire una capra che lo aveva seguito e, leggenda vuole, l’abbia portato nell’unica vena d’acqua della zona. Il bandito da quel giorno smise con il crimine. Portò la capra con lui in un casale che per qualche tempo servì da base sicura per i suoi traffici e iniziò ad allevare capre e coltivare, curare i boschi e prendersi cura della montagna.
Quando morì, nel 1997, lasciò tutto quello che aveva, quasi un miliardo di franchi svizzeri a un fondo per la cura degli animali e a un’associazione umanitaria francese che si occupava dei bambini orfani in Tunisia.