Una Parigi-Roubaix privata

Una Parigi-Roubaix privata

18/04/2021 0 Di Robert Spinazzè

L’anno scorso è saltata, quest’anno rinviata. Se la passa male ultimamente la Roubaix. I settori in pavé sarebbero stati pronti, ma sono mancate le biciclette. Quelle bici che si muovono su quelle pietre già da giorni prima della gara. Robert Spinazzè ci racconta la Roubaix prima della Roubaix


Sono Moseriano. Quindi la Roubaix era l’appuntamento clou. Ero piccolo ma ascoltavo i grandi che ne sapevano, soprattutto i meccanici che sono quelli che vedono e sentono tutto. La corsa si preparava molto prima, i manubri rinforzati, le selle particolari, i rapporti. E la gara la guardavo appena la Rai e De Zan cominciavano le telecronache. Moser non era solo e le sue imprese erano esaltate da avversari “pesanti”… De Vlaeminck, Maertens, Raas, Thurau, Duclos-Lassalle gente abituata alla sofferenza. Arrivò poi Bernard Hinault, odiava la corsa, cadde 5 volte ma vinse nel 1981. Diventò il mio idolo da allora.

Gli anni successivi non seguii con particolare interesse il ciclismo. Certo ho esultato per Ballerini, mi sono gustato le imprese di Tom Boonen ma mi mancava un riferimento a cui tifare. Solo Peter Sagan nel 2018 mi ha riacceso la passione per questa corsa. Forse perché per la prima volta l’ho vissuta anch’io.

La mia famiglia è sempre stata nel ciclismo, ho corso più per passione che per qualità, l’ambiente delle gare e la vita delle squadre mi piace. Dopo il periodo entusiasmante della Tiesse Spinazzè, abbiamo rallentato la nostra partecipazione per degli anni, approdando poi al ciclismo che conta prima con Cannondale, quindi con Tinkoff. E continuando con Bora-hansgrohe. Qui ho trovato un ambiente ideale per dar sfogo alla mia passione e curiosità per il ciclismo.

La settimana prima della Roubaix è fondamentale. Si esce dal Fiandre, chi contento e chi invece distrutto. Il mercoledì il calendario propone Scheldeprijs per stemperare l’attenzione, gli amanti del pavé invece si danno appuntamento al Giovedì per la “recon”, classico evento per tutti. Nel 2018 ho approfittato e sono andato a Roeselare in Belgio. Per chi non lo sa, ma questa piccola cittadina è sacra per il ciclismo, non solo per il Koersmuseum ma per le vie intitolate a corridori, ai murales con le effige dei nativi come Jean Pierre Monserè o Jeans Debusschere, alla statua di Defraeye. Ci vive Freddy Maertens. Come si arriva alla stazione dei treni è d’obbligo entrare nei pub della piazza difronte e mangiare la “carbonade” e l’argomento è solo uno, il commento del Fiandre appena concluso e chi vincerà la Roubaix. La birra è compagna fedele, e se si chiama Kwaremont è ancora meglio, con la sua gradazione che è esattamente quella della pendenza dell’ Oude.

La sveglia è in piena notte per far coincidere voli aerei e treni da Bruxelles, quindi la sosta culinaria casca piacevole anche se molto prima del pranzo. L’hotel dei corridori è a circa 6 km e non prendo taxi o mezzi pubblici, si va a piedi camminando lungo le vie secondarie che costeggiano il villaggio e lungo alcune fabbriche dismesse. Non manca la pista ciclabile e, sebbene faccia freddo e piove, sono tanti che con ogni bicicletta possibile vanno su e giù. Nell’aria gelida comunque si respira ciclismo, solo a Pau in Francia ai piedi dei Pirenei ho avvertito le stesse sensazioni. Attraversando vicoli e campagna si arriva dietro al grande piazzale dell’hotel pieno di ammiraglie e bus. Non manca però un campo di una casa con alcuni caprioli e un paio di pecore nere. E’ la bellezza del Belgio fiammingo dei cortili con gli animali. Di lato una tipica birreria, ma forse meglio andarci più tardi.

L’incontro con il Team è sempre simpatico, un saluto affettuoso ai meccanici, sempre i miei preferiti, lavorano di continuo senza sosta ovunque li incontro; poi Ds e trainers. I corridori si vedono poco e di fretta, si sa che è così, ma ci si incrocia e due parole le fanno volentieri. Bodi è divertente, Bughi il piu introverso. Con Peto si scherza e basta. Non chiedo mai di corse, non serve. La sera è appuntamento fisso con i tifosi. Joeri e Ward i super tifosi di Daniel Oss. Dopo le foto rituali con Daniel, andiamo nella vecchia birreria a Rumbeke a mangiare OSSobuco, cosi vuole la tradizione. E a bere le birre, perché una non basta. Loro sono abituati, io un po’ meno; a parti inverse loro non berrebbero il vino. Rientro in albergo e trovo i soliti meccanici con altri dello staff e mi siedo con loro e offro da bere. Se lo meritano, tutti cercano i corridori e pochi li conoscono. Una persona in maglietta e jeans si siede vicino a me e inizia a parlarmi, non l’ho mai incontrata prima, chiacchieriamo di tutto, mi chiede dove abito, del lavoro, come mai sono li e non vado invece alle corse.. Dopo un po’ a fine serata, mi stringe la mano e mi dice “…. Ciao sono Willi, il patron Bora, benvenuto tra noi.” Gli ho solo risposto grazie, non sapevo che dire.

Il giorno dopo, al mattino, colazione con corridori e tutto il team e poi partenza per la Recon della Roubaix. C’è anche Rafa perché al Tour ci sarà la tappa del pavè. Gli animi sono agitati perché è un avvenimento importante, ci sono fotografi ovunque, giornalisti quotati da tutto il mondo presenti. Salgo sul bus e andiamo al punto di ritrovo di tutte le squadre, partenza per la foresta di Arenberg per gli ultimi 100 chilometri della gara con tutti i tratti di pavè e sterrato. Ha piovuto e quindi c’è solo fango. Qui come per un ordine fissato tutti si muovono in sincronia e sulle varie ammiraglie si posizionano DS, tecnici, meccanici, trainer. Poi ci sono le moto dei fotografi e i furgoni dei vari brand di biciclette. Salgo con Denk e Risto, dietro, tra ruote e attrezzi. Dopo qualche chilometro ci fermiamo all’uscita della foresta, non si può entrare con le auto. E aspettiamo i corridori. Faccio due passi dentro la stradina di 2.400 metri chiamata Inferno del Nord. Li si è scritta la storia del ciclismo e si scriverà ancora. E’ emozionante e non si può descrivere. D’improvviso arrivano i corridori e velocemente si deve ripartire, non c’è tempo per sentimentalismi.

Questa volta mi tocca salire su un’altra ammiraglia, sono in prestito e quindi mi devo adattare alle situazioni. Ora però sono seduto davanti e alla guida c’è Goca. E’ uno dei meccanici storici del ciclismo. Era con RadioSchack di Amstrong. Nato in Lituania, Mindaugas vive in Belgio a pochi metri da Arenberg, si sente figlio delle Fiandre Occidentali. Parliamo di tutto, penso una delle migliori chiacchierate “vere” di ciclismo e di Roubaix; ne fa vissute tante e non solo la settimana che precede la corsa. Mi dice che la foresta è uno dei posti in assoluto per i funghi e i porcini. Che quando ha tempo e sta a casa, passa giornate a camminare dentro boschi e sentieri. E mi racconta aneddoti e un po’ di storie.

Ci fermiamo a comperare delle banane per i corridori e intanto attraversiamo villaggi e borghi dove sembra che il tempo si sia veramente fermato a qualche decennio fa. La gente del posto, come si veste, le macchine, i negozi e gli artigiani, un mondo surreale. Ogni tanto incrociamo i corridori giovani della squadra di Roubaix. Maniche corte a zero gradi, saltano nel pavé, ogni tanto cadono e poi si rialzano. Uno addirittura si mette a ruota di Sagan e gli da un cambio. Ci fermiamo spesso nei pressi dei tratti di pavé. Ci sono le dediche, da Madiot a Hinault. La sosta più lunga a Pont Gibus. Diciottesimo settore di pavé vicino a Hélesmes, io e Goca andiamo a mangiare qualcosa di veloce a L’Auberge des Cicognes. Difficile arrivarci ma credo gli addetti ai lavori lo conoscono molto bene. Due cicloamatori inglesi sono seduti a un tavolo. Pieno di brocche appese al soffitto e tantissime foto di corridori che hanno corso la Roubaix. Stufato di carne e patate lesse e Goca parla con l’oste in una lingua mista tra francese fiammingo e qualcosa altro. Si raccontano credo qualche episodio di anni fa.

Ripartiamo subito e ritroviamo tutto il team allo svincolo per Roubaix. Qui le strade si dividono, quasi tutti prendono l’autostrada per l’albergo. Solo Peto, e i fedelissimi proseguono per il velodromo. Io non chiedo ma Denk mi dice sali qui e vieni con noi. Entrare nel velodromo, a piedi, è la soddisfazione maggiore che un appassionato di ciclismo possa provare. Piove, cielo scuro e tutto sembra ancora più scuro e tetro. Ma è così che deve essere. Sennò non sarebbe l’Inferno del Nord. Fotografi, giornalisti, corridori, staff tecnici, pieno di gente. Io faccio due passi da solo verso le docce, leggo i nomi dei vincitori. Mi fermo davanti a Moser.

Sono Moseriano devo fermarmi lì e ripensare alle sue tre vittorie. Esco e attraverso l’arrivo e mi ricordo di aver letto la sera prima l’articolo di Giovanni Battistuzzi di come è nata la Roubaix, dall’incontro casuale tra Metzinger e Crupelandt. Io mi sento un po’ come il primo, non come aristocratico, ma come amante del ciclismo con assoluto disinteresse per l’economicità del gesto atletico e amante invece del contorno nascosto delle corse. Denk mi richiama subito alla realtà , è ora di tornare in hotel. Sono le 15.30 del giovedì prima della Roubaix. Alle 17 ho il treno e alle 20 l’aereo per tornare a casa. Non c’è tempo per fermarsi ancora.