Un giro di VenTo. Reportage dalle strade della (futura) ciclovia più lunga d’Italia

20/04/2015 1 Di Giovanni Battistuzzi

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Questo articolo è uscito su Pagina99 del 17 novembre 2014 “Un sogno a pedali buca la nebbia del Po”

Un fiume che c’è ma non si vede, velocità di crociera blanda, due ruote lanciate sopra un progetto che, come il Po, c’è ma non si vede ancora, ma è pronto a palesarsi. Sole in testa, morbido, autunnale, come l’aria che spira da est, che profuma di bella stagione andata, ma ancora tiepida e dolce. Ottobrata romana, buona pure per la val Padana, che tiene ancora desto chi qui ci vive, distante la nebbia e il torpore invernale e invoglia a uscire, tanto ci saranno lunghi mesi davanti per distendersi sul divano ad aspettare. E così si pedala per le strade dell’argine di quell’idea di fiume, che è sì il più lungo d’Italia e il bacino idrico più importante, ma vederlo è altra cosa e “si può correr per decine e decine di chilometri senza scorgerlo, perché le acque scorrono per conto loro e non stanno a cercar te che le cerchi”, dicono quando ormai la bicicletta ne ha percorsi un centinaio di chilometri su quell’argine senza fiume. Campi a perdita d’occhio, coltivazioni, qualche casa, silos, e l’odor pungente della campagna, tutt’attorno a ciò che sarà VenTo, un giorno, che al momento è altro, ma che si fa già pedalare, che richiama gente in bicicletta e chiunque abbia voglia di starsene all’aria aperta: cicloamatori, cicloturisti, famigliole, vecchietti traballanti, podisti, qualche cavallo.

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VenTo, ossia Venezia – Torino, limiti estremi, se non geografici, quanto meno ideali, di un sogno a pedali. Tra loro una pianura che si snoda lungo il serpentone d’acqua del Po, fulcro di commercio e comunicazione. Ora baricentro a pedali d’Italia. VenTo è ciclovia in divenire, al momento uno studio di fattibilità che sta provando a dare il via a un progetto di respiro europeo, che renderebbe le sponde del fiume meta dell’unico settore turistico in costante crescita negli ultimi anni, il cicloturismo, e che potrebbe dare nuovo impulso all’economia delle zone, garantendo anche un miglioramento in fatto di mobilità e ciclabilità. Un percorso unico – una lunga striscia di asfalto tra le due sponde del Po che dimentica il trasporto veicolare, che rottama auto e moto – al quale da anni sta lavorando un gruppo di urbanisti e ingegneri ambientali guidati dal professore del Politecnico di Milano Paolo Pileri: l’obbiettivo finale è realizzare quella che sarà la ciclovia più lunga d’Italia e la seconda d’Europa (dopo quella dell’Elba).

 

Il futuro è ancora da realizzare, il presente però parla di percorsi alla portata di tutti; ma dipende dal luogo e dalla volontà di chi lo amministra. Asfalto perfetto o vecchio e rugoso, segnaletica e indicazioni, o pazienza, pietrisco e il nulla attorno, assenza di fontanelle e di anima viva. Macchine poche per lunghi tratti – a eccezione di residenti e pochi veicoli agricoli – ed è già qualcosa. Il pedalare diventa rilassante, i rumori tornano a essere attutiti, fruscio della ruota sull’asfalto e frinire di cicale. E il parlottio di chi si incontra. “E’ strano, si pensa che sia l’auto a trasportare, a riempire, e invece ti rendi conto che per anni di queste zone non ti sei interessato proprio a causa dell’auto, ci passavi e non te ne accorgevi”, dice Flavio, architetto, al guinzaglio un cucciolo di Bovaro del Bernese di almeno un cinquantina di chili e una bicicletta in garage pronta a essere tirata fuori non appena Dodo, il cane, rientrerà a casa. “Da quando sono chiusi al traffico gli argini hanno ripreso vita, la gente è ritornata ad andarci”: ci va lui, “un centinaio di chilometri nel fine settimana, andata e ritorno da casa a un’osteriola che sta tra Cremona e Casalmaggiore”; ci va il figlio con la squadra corse, “ci va la gente di qui, di queste zone, che dopo tanti anni si è ricordata di avere un fiume e che attorno a questo fiume non si sta poi male”.

 

Un progetto che sta prendendo forma, che dalla carta sta lentamente cercando di trasferirsi sull’asfalto. La sua esistenza è comunque segno che qualcosa sta cambiando e che un modo diverso di muoversi sta guadagnando un suo spazio. E poco importa se la pedonalizzazione degli argini è un’idea antica, sbocciata negli anni 70, dimenticata per decenni, ripresa ora, da VenTo e ancor prima dalla Fiab – Federazione italiana amici della bicicletta – che però invece di una ciclovia sogna due percorsi ciclabili su entrambi gli argini per favorire una ciclabilità diffusa, “un cambiamento culturale”, sottolinea Piercarlo Bortolotti, presidente della sezione di Cremona e coordinatore per la regione Lombardia. E qualcosa si è già mosso: “Il Po è già da anni quasi totalmente ciclabile: esistono molti itinerari su strade a bassa percorrenza, tratti chiusi al passaggio delle auto, altri in procinto di esserlo. Ora dobbiamo cercare di coordinare quello che c’è”.
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Si risale o si ridiscende, a favor o controcorrente, per un tratto solo oppure per partire dalla sorgente e arrivare alla foce di quel fiume che non si vede. Ci si imbatte in tutto questo pedalando sui quegli argini che ancora non sono VenTo, ma generici percorsi cicloturistici, molte volte caotici nelle indicazioni, scollegati e un po’ raffazzonati, come è l’Italia della bicicletta. “E’ un peccato non ci sia un percorso unico. Ci vorrebbe un po’ di organizzazione. Non ci si può ritrovarsi a passare da una strada di campagna a una tangenziale senza avviso”. Anja e Friedrich vengono dal Lussemburgo, hanno 37 anni e in Italia sono arrivati a Torino da Parigi, in treno. Due settimane in bicicletta alle spalle e altre due per giungere la meta finale del loro viaggio di nozze, Venezia. Niente terre esotiche e sole tropicale, ma pedivelle e pedali. “Come l’Italia non c’è luogo al mondo, sarebbe da pedalarla tutta”, ma conta i soliti problemi, le stesse critiche: “E’ un peccato che sia tutto lasciato al caso e che non ci sia programmazione per congiungere itinerari e strutture di accoglienza. Sprecate un grande potenziale”. Sottolineare che prima o poi tutto ciò sarà reale non sortisce effetti se non un sorriso di Anja e il suo sospirare “arriverà, sì, come tutto qui da voi”.

 

Gli interventi fatti hanno già dato i primi frutti. Lo si scorge nella gente che su queste strade ci va a zonzo, nelle borse da viaggio appese al portapacchi delle biciclette, in quelle da corsa o da passeggio. Ce ne sono, passano, salutano con un cenno del capo. “Sono aumentati”, dice Claudia che lungo l’argine ha un bar-ristorante e al primo piano sei stanze buone per essere affittate. “Rispetto all’anno scorso è andata meglio, nonostante abbia piovuto tutta l’estate. Settembre è stato però buono e di ciclisti ne sono passati in continuazione, molti si fermavano per un caffè e un paninetto. E poi c’erano i viaggiatori, quelli con i bagagli che al caffè ci aggiungevano molte volte una stanza”.

 

L’ultimo rapporto della ADFC, Allgemeiner Deutscher Fahrrad-Club, ha attestato come il turismo in bicicletta ha generato in Germania un indotto di circa 3,9 milioni di euro nel 2013, un dato in crescita del 9,2% rispetto a quello del 2011. E la tendenza è al rialzo, se si pensa che dal 2007 questo è cresciuto di quasi il 25%. Un miglioramento dovuto essenzialmente a due fattori: la creazione di ciclovie e l’adeguamento della rete stradale urbana, grazie alla realizzazione di corsie preferenziali, piste ciclabili, zone pedonali e zone 30: “Da quando la Germania ha attivamente incentivato il turismo in bicicletta – si legge nel rapporto – il numero di cicloturisti è aumentato del 32% in cinque anni”. Se si considera invece l’intero continente europeo la bikenomics ha generato nel 2013 un giro d’affari di 200 miliardi di euro, 44 dei quali relativi solamente al cicloturismo, almeno secondo i dati diffusi dalla European Cyclists’ Federation, in occasione della Settimana europea della mobilità sostenibile. E questo settore sarebbe destinato ad aumentare, secondo le stime, di circa il 10% nel giro di un biennio, qualora si portassero a termine le infrastrutture già programmate.

 

“Analizzando i dati relativi alle altre ciclovie europee e considerando sia il clima italiano, sia le attrattive turistiche lungo il corso del Po, abbiamo stimato che la ciclopista potrebbe essere percorsa da almeno 400/500mila persone l’anno”, spiega Paolo Pileri, “per un indotto di circa 100 milioni e la creazione di circa 2mila posti di lavoro”. Cifre non dissimili dagli altri esempi europei più prossimi a VenTo, ovvero le ciclopiste trentine e altoatesine, che Ecf ha stimato garantiscano un giro d’affari di 85 milioni di euro (430mila a chilometro), e quella austriaca che segue il corso del fiume Danubio che invece crea un indotto di 110 milioni (345mila a chilometro).

 

“Un percorso ciclabile lungo il Po è quello che servirebbe per queste zone”. Maurizio ha 30 anni, è ricercatore di glottologia all’Università di Boston e appassionato ciclista, ma è originario di Pizzighettone, a una ventina di chilometri da Cremona. “L’idea è positiva, può portare turismo e incentivare l’uso della bici”, ma l’Italia “dovrebbe piuttosto creare di una rete di itinerari ciclabili, coordinati tra di loro, seguire insomma il modello nord europeo, dove il ragionamento politico in termini di mobilità è centrato attorno alle esigenze di pedoni e ai ciclisti. Le auto sono rumore di fondo. Questa è la via da seguire: pensare a una città dove l’auto non sia necessaria”.

 

Il rischio di avere un’infrastruttura eccellente e il deserto intorno esiste, specie considerando il ritardo italiano in tema di mobilità intermodale, ossia nella possibilità di trasportare all’interno dei mezzi di trasporto pubblico la propria bicicletta. “Progettare qualcosa con lo scopo primario di agevolare il turismo in bicicletta comporta inevitabilmente alcune problematiche e tra queste c’è anche il come raggiungerla”, fa notare Piercarlo Bortolotti: “creare un tracciato unico che predilige una o l’altra delle sponde del Po vuol dire innanzitutto escludere una parte, ovvero creare un miglioramento solo per uno dei due argini, a discapito dell’altro. In secondo luogo – continua -, se è pur vero che la creazione di una ciclovia garantirebbe un aumento del turismo, questa non assicurerebbe però un reale miglioramento della mobilità tout court, ma solamente di quella delle zone nelle immediate vicinanze del tracciato”.

 

Turismo e ciclabilità diffusa però “non sono in competizione”, sottolinea il coordinatore lombardo di Fiab, ma due aspetti che devono cercare di evolversi assieme. Sarebbe necessario “intervenire in maniera coordinata e capillare”, sottolinea Piercarlo Bortolotti, ma “senza un tavolo tecnico centrale, gli sforzi per realizzare una rete ciclabile integrata che incentivi l’utilizzo della bicicletta sia nei tragitti brevi che in quelli turistici è destinato a incontrare difficoltà, burocratiche, molte volte insormontabili”. La difficoltà di creare percorsi di lunga percorrenza infatti nella gran parte dei casi si scontra con il moltiplicarsi degli interlocutori, siano essi comunali, provinciali o regionali, con i quali trattare. “VenTo stessa sconta questi problemi”, fa eco Paolo Pileri, “in quanto senza un interlocutore unico gli sforzi progettuali, organizzativi e in ultimo realizzativi delle opere risultano fortemente rallentati, se non del tutto vani. Serve insomma che un ministero si prenda l’onere di coordinare i lavori, di effettuare un ragionamento di più ampia portata rispetto a quello che possono fare le autorità minori”. Almeno per quanto riguarda VenTo però qualcosa si sta muovendo, anche se per ora a passi lenti: “Il ministro Franceschini ci ha assicurato – spiega il professore – che prenderà l’iniziativa per la realizzare un tavolo tecnico di dibattito che possa coordinare i lavori”. Un buon segno, “che fa ben sperare anche se il lavoro è ancora lungo. Ma ci sono le condizioni per fare bene”.

 

 


 

“E’ una scommessa per l’Italia, una scommessa che non può essere persa, almeno analizzando gli altri esempi europei”, dice a Pagina 99 Paolo Pileri, professore del Politecnico di Milano, padre dello studio di fattibilità dell’opera, primo passo per la realizzazione di quella che, con i suoi 679 chilometri, potrebbe diventare la seconda ciclovia più lunga d’Europa, alle spalle solo di quella del fiume Elba (840 km). “La progettazione è stata completata, il nostra lavoro quasi concluso, ora sta al governo e alle Regioni realizzarlo”, sottolinea, specificando come “VenTo dovrebbe costare allo Stato circa 80 milioni di euro al netto delle opere, un costo decisamente inferiore rispetto a quello necessario per altre vie di comunicazione, ma che garantirebbe benefici sia in termini di mobilità, sia di turismo”.

 

Al momento il tracciato è percorribile solo in minima parte (102 chilometri, ovvero circa il 15% del totale) su percorsi totalmente ciclabili. Un punto di partenza che grazie ad alcune migliorie e modifiche alla viabilità di percorsi già esistenti potrebbe aumentare di altri 284 chilometri per un esborso di un solo milione di euro, raggiungendo quindi circa la metà (42%) della lunghezza totale dell’opera. “Esistono molti step in questo progetto” precisa Pileri, “noi ne abbiamo individuati quattro. Al momento siamo al primo, quello relativo alla valorizzazione dell’esistente. Il secondo, di facile realizzazione, permetterebbe già un percorrenza che sfiora il 50%”. Un buon risultato, “ma che sarebbe poco utile qualora non si portasse a termine nell’interezza il progetto”. Come il professore del Politecnico infatti sottolinea “il successo di percorsi come questo è la continuità di percorrenza, l’assenza quindi di ostacoli o punti critici lungo l’itinerario”.