Vuelta 2023. Geraint Thomas e la convivenza tra giovani ed esperti

Vuelta 2023. Geraint Thomas e la convivenza tra giovani ed esperti

30/08/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Geraint Thomas ha detto che in gruppo ci sono qualche idiozie di troppo. C’è da credergli, ma non è sempre colpa dei giovani: va così almeno dal 1957


Ha detto Geraint Thomas a Watts Occurring, il podcast che realizza con l’ex compagno di pedalate Luke Rowe, che il finale della quarta tappa della Vuelta 2023 è stato terribile, “un film dell’orrore”. Non tutta la tappa, solo il finale, e questa volta non per colpa degli organizzatori che nei primi giorni avevano fatto qualche pasticcio, sia nella due giorni di Barcellona, sia al termine della terza tappa quando c’era un po’ troppa persone dopo l’arrivo e addosso a una di queste c’è finito Remco Evenepoel.

Dice Geraint Thomas che “gli ultimi chilometri sono stati tremendi. Finita l’ultima salita, per andare al traguardo erano tutte strade belle e ampie, ma qualche corridore ha fatto delle idiozie. E qualche squadra probabilmente dimentica di avere i freni sulle sue biciclette. Non è che uno debba per forza stare a ruota del compagno per il 100 per cento del tempo di gara. Se ti stacchi anche solo un attimo, puoi far passare 5 secondi prima di provare a riprendere la ruota che ti interessa”.

A impressionare il gallese della Ineos Grenadiers è stato soprattutto un fatto: “Kaden Groves ha chiuso un corridore della Movistar. Non è stata una mossa molto gentile, ma cose del genere possono capitare, soprattutto negli ultimi dieci chilometri di una tappa che si chiude in volata. Comunque, quel corridore della Movistar ha deciso di reagire afferrando la maglia di Groves nei pressi del collo e spingerlo. Io ero proprio dietro loro quando è successo, l’ho visto e mi sono detto: ‘Quello è matto. Mi sa che ha troppa caffeina nel sangue’. Poteva provocare una caduta pazzesca. Ho deciso cercarmi un’altra posizione nel gruppo, lontano da lui”.

Geraint Thomas ha 37 anni, è in gruppo dal 2007, di cose ne ha viste a bizzeffe. È soprattutto uno che non parla a caso. Negli ultimi anni diverse cadute sono state causate dall’imperizia di giovani corridori.

C’è chi in queste ultime stagioni ha dato la colpa al fatto che i corridori passano al professionismo troppo presto, rimanendo troppo poco tra gli Under 23; chi ha suggerito che ci siano troppi corridori in gruppo; chi ne fa una colpa generazionale, i giovani…; chi invece punta il dito contro direttori sportivi e compagnia bella e di un ciclismo che difficilmente sa aspettare la crescita del talento.

Quasi tutte versioni che hanno un fondo di verità, senz’altro contengono una parziale verità. Pure Geraint Thomas ha ragione a dirsi preoccupato per quello che ha visto e che vede tappa dopo tappa. Eppure tutto questo sta nell’ordine nelle cose, sono parole di un uomo che ne ha viste tante e che, proprio perché ne ha viste tante, sa cosa è più giusto fare. Perché non è poi diverso oggi da allora, da quando Geraint Thomas ha iniziato il suo lungo viaggio nel ciclismo professionistico.

Era il Tour de France del 2007 quando Jens Voigt, all’epoca trentaseienne e gregario di Carlos Sastre, al termine della prima tappa, la Londra-Canterbury, disse: “Qui è pieno di pazzi a cui non hanno insegnato a usare il freno. Ho visto cose assurde in corsa, ragazzetti che si buttavano, cambiavano posizione in gruppo, si muovevano come ossessi. Due che si sono urtati e presi a schiaffi. Cose da pazzi. Dove andremo a finire se ai giovani non viene insegnato a stare in gruppo?”.

Dieci anni prima, era il 1997, primo anno nel quale Jens Voigt corse tra i professionisti, fu Tony Rominger, all’epoca trentaseienne, a dire che alla Vuelta “in gruppo c’è troppo nervosismo, troppi ragazzi che fanno cose pericolose mettendo a rischio la sicurezza di tutti. Non è possibile provare a inserirsi in curva a tutta, sperando che qualcuno lasci spazio. Fortuna che questo è l’ultimo anno che corro, altrimenti mi sentirei costantemente in pericolo”.

Il problema però non è iniziato nemmeno nel 1997. Era il 1957 quando Fausto Coppi (nell’anno dell’ultima sua vittoria, il Trofeo Baracchi in coppia con Ercole Baldini) se ne uscì, in un’intervista al Giorno, sottolineando la “sconsideratezza dei giovanotti nel correre. Mettono a rischio la loro incolumità e quella di tutti rischiando oltre il limite del consentito, non è possibile continuare così”.

Parole simili negli anni sono state pronunciate, per quanto Girodiruota ha potuto appurare, anche da Jacques Anquetil, Adriano Durante, Michele Dancelli, Francesco Moser, Beppe Saronni, Miguel Indurain.

Viene da chiedersi se è forse l’esperienza che allontana i ricordi di un tempo, di quando si era più giovani e di cose se ne erano viste di meno.