Kuss, la Vuelta e il magnifico principio di falsificazione del ciclismo

Kuss, la Vuelta e il magnifico principio di falsificazione del ciclismo

31/08/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Sepp Kuss ha vinto la 6a tappa della Vuelta 2023. Lenny Martinez è la nuova maglia rossa. Primoz Roglic e Jonas Vingegaard hanno staccato Remco Evenepoel. A cospetto dell’osservatorio astrofisico di Javalambre la Vuelta ha reso onore alla scienza


L’osservatorio astrofisico di Javalambre è uno degli istituti scientifici d’eccellenza in Spagna. Sia per attrezzatura che per qualità della ricerca sull’energia oscura e sull’astrofisica in generale. È stato messo lì perché c’è poco o nulla di meglio della Sierra di Javalambre per osservare l’universo: bassissimo (quasi nullo) inquinamento luminoso, assenza di montagne più alte e bassissimo rischio di riverbero o intromissioni esterne. La Vuelta ci si è trovata bene nel 2019. Fu una tappa carina, vinse Ángel Madrazo al termine di una lunga fuga, Miguel Angel Lopez staccò Alejandro Valverde e Primoz Roglic. Ci si aspettava un andamento simile: una fuga che va, il gruppo che insegue. È andata molto meglio. Non poteva esserci svolgimento più adeguato per una frazione che termina al cospetto di un istituto scientifico. Almeno secondo Karl Popper.

Sosteneva Karl Popper – in Logica della scoperta scientifica – che un’ipotesi o una teoria ha carattere scientifico soltanto quando è suscettibile di essere smentita dai fatti dell’esperienza. Solo in questo modo, secondo il filosofo austriaco si possono eliminare le generalizzazioni induttive e permettere a una teoria di avere un processo di revisione delle ipotesi tramite “severi tentativi di falsificazione”, consistenti nel saggiarne la validità mediante il controllo delle conseguenze empiriche.

La teoria ciclistica alla Vuelta è stata messa in continua revisione. Doveva essere tappa buona per la fuga – Remco Evenepoel dopo la vittoria in terra d’Andorra aveva chiaramente detto che avrebbe ceduto volentieri, ovviamente temporaneamente, la maglia rossa a qualcuno – ed è stato verificato che lo fosse. La fuga però più che una fuga era un fugone, un’esplorazione di circa un quarto del gruppo con dentro un bel po’ di gente parecchio forte. Sembravano i presupposti della fuga bidone, quel meraviglioso momento nel quale ogni certezza si sgretola e una corsa a tappe si presta alla scoperta dell’ignoto. Teoria falsificata dai fatti. Il gruppo è tornato sotto, ha rosicchiato quattro minuti, sembrava pronto se non a rientrare quantomeno a perdere pochino. Poi altra falsificazione. La Soudal-Quick Step ha finito le energie un po’ troppo presto e il distacco è tornato a crescere, ritornando prima sopra i tre minuti per poi sfiorare di nuovo i quattro.

Falsificazioni che hanno dimostrato nessuna teoria, ma una lampante realtà: si è assistito a una tappa meravigliosa, straordinaria in quanto lontana dall’ordinarietà di quello che accade solitamente.

E tutto questo è accaduto prima che i corridori iniziassero a salire verso il Pico del Buitre, la salita finale, quegli undici chilometri all’otto per cento di pendenza media (ma con quasi quattro chilometri che salgono oltre il dieci).

È lì che Sepp Kuss ha trovato la solitudine dell’avanguardia della corsa. L’ha conservata sino all’arrivo. Ha pedalato per quasi un chilometro sorridendo di una gioia esuberante, di una lietezza enorme, tanta quanta la fatica che ha concesso in dono ai capitani quest’anno tra Giro d’Italia e Tour de France e ora alla Vuelta.

È lì che Lenny Martinez ha fatto conti da ragioniere, bilanciando energie e cronometro, difendendo il vantaggio che aveva alla partenza sull’americano, vestendo la sua prima maglia rossa della sua carriera appena iniziata.

È lì che Primoz Roglic è scattato dal gruppo e ha falsificato la teoria, sino ad allora abbastanza diffusa, che Remco Evenepoel fosse di livello superiore a tutti gli altri. Si è staccato il belga, ma non è crollato, ha scelto il principio di conservazione, quello secondo il quale non è importante quando ti stacchi, ma come prosegui dopo esserti staccato. Sotto l’arrivo i secondi persi sono stati trentadue, poteva essere peggio, tutto sommato il belga non può essere felice, ma nemmeno del tutto insoddisfatto. Anche perché pure Juan Ayuso si era staccato, ma le gambe gli giravano meglio. Nell’ultimo chilometro non solo è andato più forte di Enric Mas, piantatosi a seicentometri dall’arrivo, ma anche della coppia della Jumbo-Visma: Primoz Roglic e Jonas Vingegaard.

Gran merito del grande spettacolo di oggi e delle continue teorie falsificate è stato proprio della Jumbo-Visma, all’ennesima dimostrazione che la fantasia, a volte rischiosa, può rendere scombussolare tutto. E questa Vuelta 2023 è davvero scombussolata e piena di quesiti ai quali è difficile rispondere. E per fortuna. Domande tipo:

E ora che Sepp Kuss ha due minuti e quaranta secondi sul primo dei favoriti di inizio Vuelta che accadrà?

E ora che Lenny Martinez non solo è in maglia rossa, ma ha dimostrato di avere gambe buone e pure fiuto per sfruttare le situazione cosa accadrà?

E ora che Juan Ayuso è a ridosso dei migliori (anche se non potrà più contare su Jay Vine che in salita doveva essergli l’ombra) e che ha dimostrato di avere un’eccellente capacità tattica cosa accadrà?

E ora che Cian Uijtdebroeks ha messo le ruote davanti a Aleksandr Vlasov e che si sa che la Bora-hansgrohe ha nelle corde mattate di squadra buone a lanciare i capitani cosa accadrà?

Quattro domande che ci dicono solo una cosa: questa Vuelta partita nel segno della surrealtà è sfociata in una realtà molto migliore di quella che avevamo in mente.

Saranno due settimane abbondanti molto interessanti.


Vuelta, 6a tappa: l’ordine d’arrivo e la classifica generale

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